Arte italiana contemporanea: tra tante sofferenze e difficoltà che ci inseguono da anni e non accennano ad abbandonarci, oggi apriamo uno squarcio di bellezza. Lo apriamo parlando del programma estivo della Triennale di Milano. Nel giardino Giancarlo De Carlo è in programma, fino a settembre, un fitto calendario di appuntamenti: 130 eventi pomeridiani e serali per accontentare tutti i gusti. Festival, proiezioni, spettacoli, concerti, DJ set, laboratori per bambini, in contiguità con “Unknown Unknows”, la XXIII Esposizione Internazionale. Nell’ambito del programma estivo rientra anche il ciclo di incontri sull’arte contemporanea curato da Damiano Gullì. Grazie al confronto con artisti contemporanei, i 3 incontri, ideati dal curatore per Arte contemporanea e Public Program di Triennale, vogliono fare il punto della situazione sulla nuova arte italiana. Un breve punto lo abbiamo fatto anche noi su queste pagine chiacchierando proprio con Damiano Gullì.
Damiano Gullì, tra la pandemia da Coronavirus che stenta a lasciarci e una guerra che incombe nel cuore dell’Europa, dove si sta dirigendo l’arte contemporanea italiana?
L’arte contemporanea italiana percorre diverse vie, si muove in maniera rizomatica, multiple le sue direzioni. Difficile dare una risposta univoca tale è la varietà e la complessità di pratiche e poetiche. Si spazia dalle ricerche dei più giovani – di cui cerco di dare una traccia attraverso Tonight We Are Young, il ciclo di incontri da me curato per Triennale dedicato alla nuova arte italiana, e qui penso ad Andrea Martinucci, Giulia Cenci, Guendalina Cerruti, tra i tanti e interessanti artisti Under 35 oggi protagonisti della scena italiana e internazionale – agli artisti mid-career, come Anna Franceschini o Paolo Gonzato, ad artisti di generazioni precedenti, come Marcello Maloberti – di cui ho curato una personale quest’anno sempre in Triennale –, o, ancora, Stefano Arienti, Liliana Moro e Vedovamazzei, fino ai grandi maestri e a quelle figure “irregolari”, in grado di muoversi con nonchalance tra media diversi, in questi anni oggetto di riscoperta e rilettura.
Ad esempio Corrado Levi – di cui seguo il lavoro da anni – o Cinzia Ruggeri. Senza dimenticare figure quali Francesco Vezzoli – presente in Triennale da marzo a maggio 2022 con la scultura IL PESSIMISTA NARCISISTA o IL NARCISISTA PESSIMISTA –, Maurizio Cattelan e Vanessa Beecroft che, senza dubbio, sono tra gli italiani che hanno avuto maggiore visibilità e riconoscimenti all’estero. In generale, riscontro una grande libertà espressiva, meno vincoli forzatamente disciplinari e una grande apertura e curiosità verso linguaggi altri, dal cinema alle scienze.
Su cosa l’arte contemporanea italiana ha bisogno di interrogarsi?
L’arte contemporanea non deve mai smettere di interrogare, in primis, e interrogarsi. Su cosa? Sul proprio statuto ontologico. Sui grandi temi della nostra società, dal micro al macro, e viceversa. Deve allargare il proprio sguardo da prettamente antropocentrico fino ad abbracciare tutte le specie e l’inanimato, con un forte senso di inclusività, trasversalità e, come già evidenziavo prima, transdisciplinarietà.
Che interesse sta suscitando l’arte contemporanea italiana presso il pubblico?
Credo l’interesse sia potenzialmente alto, ma importante è sempre più fare rete e rafforzare le dinamiche di promozione e valorizzazione degli artisti italiani. Un ottimo esempio in questo senso il bando Italian Council o iniziative quali Cantica21 che hanno permesso la realizzazione di nuove produzioni, pubblicazioni e ricerche e hanno favorito la loro circuitazione anche in contesti internazionali.
Il programma di Triennale Estate è molto ricco e trasversale: segno che l’arte non è poi così lontana dalla vita reale?
L’arte non è mai lontana dalla vita reale. È una lente attraverso cui guardarla, che ne intercetta, e a volte anticipa, i sommovimenti. È uno strumento che ci permette di ribaltare punti di vista consolidati intrecciando la Storia con le storie del quotidiano. E, anche quando non è evidentemente politica o sociale, parla sempre del nostro essere nel mondo. In una mia conversazione con il pittore Luca Bertolo di alcuni anni fa si parlava di “ampliare l’orizzonte d’attesa” e trovo molto calzante quando Bertolo si soffermava sul fatto che, nella creazione, “meno eclatante, ma non meno intenso, può risultare un carminio in luogo di un cobalto”.
In copertina Damiano Gullì. Foto di Gianluca Di Ioia. Foto pubblicate per gentile concessione di Triennale Milano