Durante il lockdown l’arte ha saputo reinventarsi. Con l’aiuto della tecnologia, molti musei hanno aperto le loro porte a chi era rimasto a casa allestendo nuovi percorsi espositivi virtuali. L’estate, con l’illusione che fosse tutto finito, ha visto le persone incontrarsi di nuovo per godere dell’arte. Quest’anno con il green pass ci avviciniamo piano piano alla normalità. Come hanno reagito, invece, gli artisti? In che modo l’esperienza dell’isolamento ha influito sui loro processi creativi? Lo abbiamo chiesto a Elena Tettamanti, Presidente della Associazione Amici della Triennale, e a Damiano Gullì, Head Curator del Public Program di Triennale Milano.
Elena Tettamanti, lo scorso anno Triennale Estate ha proposto l’evento Arte e Lockdown: come si è articolato il progetto?
Il format dell’evento si è articolato su una serie di incontri di coppie di artisti contemporanei, appartenenti a generazioni diverse, chiamati a confrontarsi sull’impatto della pandemia sull’aspetto creativo e sulla fruizione dell’esperienza artistica. Emilio Isgrò e Andrea Sala, Remo Salvadori e Patrick Tuttofuoco, Liliana Moro e Beatrice Marchi, Alberto Garutti e Diego Perrone sono gli artisti che hanno preso parte agli incontri. Ci è parso stimolante indagare “dal vivo”, con l’aiuto degli stessi artisti, come l’isolamento forzato possa aver suggerito nuove soluzioni creative e capire come essi abbiamo vissuto lo spazio e il tempo, durante la quarantena, quello reale ma soprattutto quello interiore.
Com’è cambiato in questo periodo il modo di esprimersi degli artisti?
La difficoltà di reperire la materia prima per le opere ha inciso in modo significativo sul processo creativo e ha condizionato il loro modo di esprimersi. Tutto ciò ha indotto gli artisti a dedicarsi maggiormente al disegno, che è stata
un’espressione ricorrente durante il lockdown. Dal punto di vista interiore, l’isolamento forzato per alcune persone è stato un momento di consolidamento; per altri un momento di crisi profonda, legato al senso di solitudine e vulnerabilità che tutti noi abbiamo vissuto
Damiano Gullì, quest’anno avete deciso di riproporre la stessa formula anche se in condizioni diverse. Come ha risposto il pubblico?
La risposta è stata davvero molto positiva. Era evidente la voglia del pubblico di tornare a partecipare a eventi in presenza. Sicuramente il Giardino di Triennale, in cui convivono opere d’arte e specie vegetali diverse, ha rappresentato un ulteriore elemento d’attrazione, con il vantaggio, non indifferente, di permettere sempre lo svolgimento delle attività in sicurezza e nel pieno rispetto delle norme. Quest’anno, forti dell’esperienza del 2020, abbiamo sistematizzato ulteriormente la proposta culturale cercando di legarla ancora di più alle linee guida e alle discipline di Triennale.
Durante la pandemia si è parlato spesso della necessità di cambiare prospettiva nel programmare le attività. Quali sono le soluzioni che servono al mondo dell’arte per consentire alle persone di continuare a fruirla?
Damiano Gullì, Head Curator del Public Program di Triennale Milano: Qualità e coerenza della proposta sono due requisiti fondamentali. Era per noi importante che attraverso la programmazione – e anche attraverso il progetto grafico di Camuffo Lab – emergesse l’identità sfaccettata di Triennale. Con la programmazione abbiamo così spaziato dal design all’arte contemporanea, dalla fotografia alle proiezioni cinematografiche, dalla performing art fino a concerti e dj-set. Sempre con una attenzione alla città – in questo centrale il lavoro dei gruppi di ricerca dell’Urban Center e le serate organizzate con Zero dedicate ai quartieri di Milano – e, allo stesso tempo, mantenendo uno sguardo aperto alla scena internazionale. Animati dalla volontà di intercettare nuovi pubblici, transgenerazionali, ci siamo poi aperti anche a operazioni più “pop”, come per esempio trasmettere la finale del Campionato europeo di calcio.