Ai Musei di San Domenico a Forlì, dall’11 febbraio al 18 giugno dell’anno in corso, è possibile visitare una mostra sull’Art Déco, ( il cui nome deriva dall’Expo di Parigi del 1925 e dalle successive biennali internazionali di Monza e di Barcellona dedicate alle Arti decorative), che illustra uno stile che ha segnato l’entrata definitiva dell’Italia nell’epoca moderna, con pezzi di straordinaria bellezza, esposti in una successione ben strutturata di 400 opere in 16 sezioni, raccordando efficacemente opere, temi e linguaggi. Nell’organizzazione della mostra ( curata da Valerio Terraioli con la collaborazione di Claudia Casali e Stefania Cretella, diretta da Gianfranco Brunelli), sono messe in evidenza nello spazio e nella luce non solo le singole opere, quasi tutte italiane, ma anche le molte relazioni delle opere con il proprio tempo (pannelli esplicativi accompagnano ogni sala e guidano il visitatore in un itinerario culturale e artistico ben delineato) e l’importanza che hanno avuto nell’ evoluzione del gusto di quelli che vennero chiamati “anni ruggenti”, l’epoca che va dalla prima guerra mondiale alla seconda, successiva al Liberty, di cui fu prima un superamento e poi una forte contrapposizione.
Quest’epoca ruggente lo era nel senso che cercava famelicamente di vivere in una dimensione di lusso, di eleganza, di mondanità, nella vertigine di dimenticare quella prima guerra mondiale che aveva sconvolto la visione europea di un progresso inarrestabile sulle ali della scienza e della tecnologia. Paradossalmente, nella sua ricerca del bello e dell’inutile, questa borghesia con le sue precise esigenze di gusto traghetterà l’Italia nel seno di una modernità dove per la prima volta l’arte consegna la sua creatività alla nascente industria nazionale e si applica anche agli oggetti della quotidianità.
L’oggetto che l’artista crea per un pubblico selezionato viene replicato dalla catena di montaggio e arriva ad essere fruito da un pubblico di massa, siamo quasi quarant’anni prima della Pop Art, in una dimensione che sovverte con forte anticipo il concetto stesso di arte, la cui bellezza e eccezionalità non consistono ormai solo nell’unicità dell’opera assurta a modello estetico. In questo processo si cancella la gerarchia tra le arti, si nobilitano materiali fino al momento impensabili che l’industria produce e mette a disposizione, l’industria stessa diventa ispirazione. Si pensi alla “Mano della fattucchiera” di Giò Ponti, la cui riproduzione ingigantita ci accoglie nel piazzale del museo. Lo scultore usa la forma di una mano utilizzata per fabbricare guanti, le applica una foglia d’oro che poi incide con simboli magici e alchimici e quella piccola mano di ceramica, chiusa in una bacheca accanto ad un’altra elaborata con la stessa tecnica e decorata con piccoli fiori di ceramica rosa su fondo bianco, ci racconta degli straordinari risultati della lunga collaborazione tra l’artista e la fabbrica di ceramica della Richard-Ginori.
Molti altri oggetti, vetri, ceramiche, sculture in bronzo, arredi in legno per le grandi dimore borghesi, gli uffici pubblici, le ambasciate, per i treni e i grandi transatlantici del periodo mostrano l’alto livello di invenzione che l’incontro tra industria e arte ha prodotto. Questa modernità, con la caratteristica tutta italiana di conservare un fondo di classicità anche nell’audacia delle avanguardie che sostituiscono il vitalismo della macchina al mito della natura, esaltando il geometrico ordine degli ingranaggi, l’audacia costruttiva dei grattacieli, il reticolato di strade nel dinamismo della città, produce forme e atmosfere dove la cultura mediterranea si intreccia con l’amore per l’oriente, con il fascino di materiali nuovi immessi nell’opera, con le linee rigorose con le quali l’invenzione artistica, la produzione artigianale e quella proto-industriale creano il primo vero gusto “Mady in Italy”.
Nella mostra questo gusto che va affermandosi si racconta in senso cronologico e per blocchi monografici nelle varie sale, mostrandoci quadri, sculture, oggetti, arazzi, gioielli, abiti, arredi e attraverso questi evocando luoghi di quel momento storico che la crisi del ’29 in Wally Street e la seconda guerra mondiale avrebbero inesorabilmente spazzato via. L’Art Deco visse e si espresse nei luoghi della modernità; le città, le sale cinematografici, i teatri, le stazioni ferroviarie, i treni, le navi, i palazzi e le residenze di lusso della borghesia. Si diffuse nella vita quotidiana, nella pubblicità, nella moda, nel design, cambiando per sempre l’immagine della donna.
Due figure emblematiche ce la raccontano nella mostra: la Turandot della litografia a colori di Leopoldo Metlícovitz che fu utilizzata per la locandina dell’omonima opera di Puccini e il grande pastello su carta di Alberto Martini del 1925 che raffigura Wally Toscanini, la figlia del grande direttore d’orchestra, nella sua bellezza libera e inquietante, vestita di un morbido abito giallo e con un copricapo orientaleggiante che scende sul collo e sul petto in catene di perle. Con le stesse forme sinuose si staglia alla fine della mostra la famosa Isotta Fraschini di Gabriele D’annunzio (il suo Vittoriale è un monumento trionfante all’Art Déco) che la volle coi parafanghi allungati e sinuosi come un corpo femminile e di un colore blu oltremare in un accostamento tra femmina, macchina e mare, che consegnava l’automobile a una metafora di folgorante bellezza; fu lui a dire, in contrasto con Marinetti, che l’oggetto automobile non poteva che essere donna.
Quella donna che durante la guerra aveva sostituito gli uomini al fronte in tutte le attività necessarie alla vita quotidiana, emerge prepotentemente nella sua determinazione, nella sua forza, nel suo glamour, da operaia a icona del gusto assume socialmente un ruolo che non potrà essere negato negli anni successivi di un secolo difficile, che la vedrà assumere ruoli e posizioni inusitate con capacità e ingegno. Quel lusso che la circonda nell’Art Deco, non deve ingannarci, dentro quelle sete e quei velluti, in quegli interni raffinati, cresce nella donna, e non parliamo solo dell’alta borghesia, la forza e la consapevolezza di un ruolo di incancellabile importanza nella storia.