L’ordine caotico di Napoli da un vero talento: Bizia Cesarano. Già dalle prime opere vengono disvelati i fondamenti semantici della sua pittura: la FORMA innanzitutto. Le tessiture cromatiche, i materiali, le tecniche, la dimensione e materie dei supporti giungono poi.
Le sue opere trafiggono istantaneamente il nostro primigenio repertorio di forme che riconosciamo come nostre e identificantisi in quelle figure che autonomamente si incastrano tra loro: il cono del Vesuvio, in alto, il cielo, la città, il golfo, il mare, et cetera. Un mosaico che pare individuare le proprie tessere.
Bizia Cesarano, le sue opere
Ciascuno ha un proprio contorno, una propria grafica, una propria orditura timbrica.
Le sue opere, sono concepite in piano: altezza-larghezza,… ossia rinunciano alla chiara multidimensionalità che, secondo il Brunelleschi, (Vasari) organizza lo spazio e la visione definendo “egregia” la realtà.
Non hanno, infatti, ombre proprie, quindi, nessuna lusinga prospettica, alcuna artificiosa profondità, altresì volumi per blandire un plausibile realismo “oggettivo”.
Non illude, non genera virtuosi e accademici spazialismi da trompe l’oeil. Le sue forme sono strutture semplici, descrittive, essenziali da riempire (colore) e da subissare da orditure giallo-oro ( case e stradine sotto il vulcano) come la sfera invasa internamente da brulicanti e ingabbianti “sovrastrutture” che pesano sulle spalle titaniche di chi le trascina e le subisce. Insomma tutto è chiaro, apoditticamente trasparente, didascalico come il disegno sorprendente del “bambino” che colora dentro la forma senza uscirne per narrare del suo mondo ma costretto dai margini ordinanti profondi sentimenti ma in lotta con le afflizioni del/gli IO.
Quell’io che talvolta esplode che si manifesta come raptus. Una specie di ribellione, di riscatto dall’ordine del sistema con eruzioni fantasmagoriche, vivide, autonome, spruzzi, coaguli, chiazze increspate come il frangersi tempestoso del mare che non si espande sulla tela. Un gesto, tuttavia, coordinato e disciplinato da una tecnica, ma che non acquieta la rabbia del movimento casuale, non progettato che conserva la collera della propria consapevole natura.
Le sue forme “pure” sono quelle di un ordine morale, chiuse e controllate dentro l’assetto di linee forti di contorno e luminose come la lealtà, la franchezza dell’onesto, la schiettezza e naturalezza del probo.
Un’artista etico
La nozione di geometria piana qui non si da come superficie ma come massa; l’inestricabile ammasso di case, si incastrano a forza tra mare e Vesuvio, perfino il cielo non si sfonda ma si salda sul crinale delle sue gobbe. Gli edifici, i vicoli paiono reti sforacchiate dai fondi scuri incuneanti dei supporti, tessuti intimi, capelli incrostati di colore, aggrumati secchi di intonaco, impastato al calore della luce che diventa materia,…che si fa vibrazione come un ronzio alle orecchie,…
La prospettiva, dunque, non è nelle profondità proporzionate, nei vuoti intorno ma dentro la materia del colore e nei segni, non nella densità di essa ma nella struttura salda e nelle voragini delle masse coloristiche.
Viviamo forse, con Bizia Cesarano, la nascita di un “nuovo classicismo” non più fondato sull’imitazione scolastica del passato ma rivolta a formare una nuova, concreta immagine del mondo ( Kandinsky – Pollock) non più cercata nella realtà esterna ma nella coscienza.
Un lavoro di ricerca complesso e faticoso che l’artista non arretra per doverlo con umiltà affrontare.
La pittura, l’arte, non è letteratura figurata tendente a rendere più vivo una emozione visiva: una insostituibile indagine delle strutture della realtà ma profonda ricerca ontologica, una specie di filosofia della coscienza. …ne avremmo tutti davvero bisogno!