Si è inaugurata negli spazi coperti del sito archeologico di Capo di Bove sulla Via Appia Antica, dove ha anche sede l’Archivio Antonio Cederna, la mostra Archetipo: l’idea e l’immagine. La Scultura di Claudio Nardulli a cura di Barbara Martusciello e introdotta dal Direttore del Parco Archeologico dell’Appia Antica, Rita Paris.
Le sculture sono allestite in questo luogo di grande importanza storico-archeologica discretamente ma con una loro forza e un impatto visivo mirabile; la materia assimila un tempo pressoché infinito per gli esseri viventi, “il tempo geologico” e si dà con minuziosa e raffinata conformazione. Di queste opere si apprezza la perizia manuale, lo studio e la calibrazione del marmo usato e forzato fino al massimo consentito, oltre il quale si spezzerebbe, e l’effetto di leggerezza e dinamicità.
Sulla scia della tradizione plastica della Storia dell’Arte, queste sculture lapidee sono però libere di esplorare il mondo della pura forma: analizzando e riproponendo in maniera finissima e mentale la rarefatta astrazione e la sintesi geometrica, non euclidea, le superfici a guscio, i piani a quadrica, le estensioni paraboloidi iperboliche, gli ellissoidi.
Tali marmoree solidità, che alludono alla malleabilità, alla flessuosità e accolgono la luce nei propri incavi e nelle sporgenze animandosi, quasi vibrando come viva sostanza, richiamano certa preesistenza in natura ma anche nell’antico e nell’architettura ponendosi infine come elemento integrale, autentico e originario: archetipico.
Vi dimora l’arché, il “principio” di tutto, inizio e dunque modello. Da Filone di Alessandria, Dionigi di Alicarnasso e Luciano di Samosata a Platone sino a Carl Gustav Jung e poi a Jacques Derrida, è lungo l’elenco di chi sviluppò il tema nei suoi diversi segmenti e significati; Nardulli li comprende tutti, perché li conosce, li ha elaborati e ne ha accolta quella frazione a lui fondamentale per definire una lingua tutta sua.
La sua scultura deriva da lì, da quella vastità sapienziale ma anche sensualmente fisica, carnale – senza quest’ultima la scultura non emetterebbe nemmeno i primi vagiti! – tradotta in questi vividi monumenti alla forma/pensiero, in un equilibrio compiuto tra spazio e tempo dimostrando e sottolineando l’archiscrittura e, insomma, i metaconcetti: intensamente connettivi, come potenzialmente è la stessa Arte che questa mostra celebra.