6.500 salvagenti di plastica di ogni forma e colore invadono completamente la superficie di 3.500 metri quadrati della Piazza Grande di Locarno. Si tratta di Apolide, imponente e ambiziosa installazione dell’artista ticinese Oppy De Bernardo (Locarno, 1970) realizzata con il patrocinio della Città di Locarno nella notte dal 30 al 31 marzo, grazie alla collaborazione di più di 120 persone e con l’ausilio di 18 km di corde.
Apolide sarà visibile al pubblico fino al 15 aprile e, dall’11 aprile, la cittadinanza, i bambini, le scolaresche e il pubblico in generale sono invitati in Piazza Grande a ritirare quanti salvagenti vorranno.
Oppy De Bernardo – artista da sempre interessato all’analisi dei processi comunicativi e ai limiti percettivi della realtà ordinaria – con un tentativo inedito prova a mettere in scena in modo astratto e teatrale quella che forse è una delle più grandi emergenze di questo tempo: la migrazione globale. Un gesto empatico che porta divertimento e forse anche euforia e che ha il pregio di aprire un discorso sull’apolidia a partire da un punto di vista atipico e privilegiato, quello dell’arte.
Quella dell’apolide è una condizione che può avere più connotazioni, a seconda del contesto di riferimento: dall’idea di “cittadino del mondo” nell’antica Roma, alla scelta cosciente di autonomia nei confronti dei poteri precostituiti per Erasmo da Rotterdam, fino alla condizione di molti migranti, “sans papiers”, appartenenti a popoli non riconosciuti dagli Stati che occupano i territori in cui vivono, e per questo privati di ogni diritto, compreso quello fondamentale di vedere riconosciuta la propria esistenza. Spesso liquidati con l’eufemistico termine displaced people – che come lamentava Hannah Arendt riduce e banalizza la complessità della situazione – è evidente come sia difficile evitare di imbrigliarsi in complesse e irrisolte riflessioni filosofiche, per conferire invece al termine “apolide” una definizione giuridica, che ne eviti quella straniante e distruttiva condizione di invisibilità.
Oppy De Bernardo – senza voler risolvere in un solo gesto una questione così complessa – mette in scena questa condizione in modo intangibile e plateale. La Piazza Grande di Locarno, cuore della città con i suoi portici armoniosi in stile lombardo su cui anticamente arrivava il Lago Maggiore, si trasforma in una grande isola “utopica” dove salvarci da noi stessi, un’isola dove l’essere umano può salvarsi dall’essere umano stesso, dove non ci sono più confini, etnie, razze, colori e distinzioni. Un’Isola che non c’è, surreale e felice.
L’intera superficie della piazza viene così ricoperta da un manto gommoso, una distesa colorata a misura d’uomo, una scenografia vivace per passeggiate effimere e incontri: un mare solidificato, morbido e irreale, che ci proietta prematuramente nel luogo comune del clima vacanziero. Un mondo perfetto, fatto di oggetti di consumo, che eccitano lo sguardo e non lasciano spazio all’immaginazione. Un evento che per due settimane cambierà radicalmente il modo di fruire lo spazio pubblico e investirà, volente o nolente, un’intera comunità.
Queste le considerazioni, le premesse e i pensieri che muovono l’intervento di De Bernardo pensato su scala urbana per l’intera piazza di Locarno: un gesto teatrale e anche ludico, in forte contrasto con il senso di disorientamento dato dalla mancanza di un preciso punto di riferimento.