I mass media generano tutta una serie di effetti su chi ne usufruisce, e su questo punto è aperto un dibattito senza fine. All’interno di questo un posto particolare è occupato dalla distinzione tra apocalittici e integrati (cfr. omonima opera di Umberto Eco, 1964).
Gli apocalittici tacciano la cultura di massa di essere conformista, omologante, priva di componenti originali, succube delle leggi commerciali e per questo si preoccupano della sua diffusione. Postmodernisti e fautori dell’anticonsumismo, gli apocalittici sono profeti di una barbarie digitale in grado di distruggere in pochi anni un bagaglio culturale costruito faticosamente nel corso di secoli. L’Homo Videns, ipnotizzato dal mondo tecnologico, causerà l’estinzione dell’Homo Sapiens. Preannunciando l’avvicendarsi di una nuova razza di umanoidi semi-inebetiti dalle immagini e incapaci di riflettere, viene paventata la morte dell’intelligenza, dell’infanzia e addirittura della realtà.
Gli integrati, di cui fanno parte tutti i difensori del consumismo, parlano al contrario di cultura popolare e celebrano acriticamente utilità e meriti dei mass media, con un entusiasmo tale da negare qualsiasi responsabilità a carico di questi. Sono in pratica i portavoce di un progresso tecnologico capace di guidarci verso una terra promessa nella quale scomparirà la maggior parte delle nostre limitazioni. I media e la cultura di massa stanno modificando le prospettive sensoriali degli uomini, contribuendo all’avvento di un nuovo linguaggio, capace di rendere più immediata la comunicazione. È un linguaggio simile al pensiero, che non si muove seguendo schemi rigidamente sequenziali, ma che “balza” qua e là, da concetto a concetto, proprio nello stesso modo in cui funziona un ipertesto.
Ma si sa che tra i due estremi c’è sempre un filone più moderato dal quale vengono banditi atteggiamenti di totale rifiuto o per contro di totale accettazione. Parliamo dell’orientamento tecnorealista, dove le ICT vengono viste come strumenti capaci di formare cittadini attenti, in grado di scegliere, valutando con consapevolezza l’intera offerta a disposizione, ciò che maggiormente risponde alle loro esigenze. Il tecnorealismo si propone di demolire alcuni luoghi comuni, tra cui quello che la tecnologia possa risolvere tutti i problemi del mercato, come l’ineguaglianza e il monopolio, o che i mercati possano trovare soluzione a tutte le questioni sollevate dalla tecnologia, prime fra tutte la garanzia di un accesso universale e la tutela della privacy.
Negli otto punti del manifesto (cfr. www.technorealism.org) si legge così che “Internet è rivoluzionario ma non utopico”; che “le tecnologie non sono neutrali, ma cariche di precise valenze sociali, politiche ed economiche”; “che lo Stato ha un importante ruolo da giocare sulla frontiera elettronica, soprattutto in merito alla giurisdizione su ciò che cittadini devianti o imprese fraudolente possono compiere nella rete” e ancora che “la tecnologia non è conoscenza”. Infine, il punto più importante: “La comprensione della tecnologia dovrebbe essere una componente essenziale della cittadinanza globale”.
Per molti versi siamo ancora sul piano delle enunciazioni astratte: infatti quelli che si sentono coinvolti realmente in queste problematiche sono ancora pochi, in vista soprattutto del fatto che un progetto di una tale entità richiederebbe un impegno ed un investimento di una portata difficilmente sostenibile. Sarebbe necessaria una ricerca radicale, corroborata dall’audacia di sperimentare soluzioni lungimiranti che permettano di abbandonare sicurezze strette e sempre più deboli. Le cose però sono ancora molto “in fieri” e così gli approcci alle new technologies continuano a dividere gli individui tra tecnofili e tecnofobi del XXI secolo.