Quando parliamo di depressione senile, parliamo di una condizione fisiologica dell’anziano, un fattore legato al processo di invecchiamento. Un disturbo tra i più diffusi. Le restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria, lo ricordiamo, hanno colpito maggiormente i più anziani. Da un giorno all’altro, si sono trovati a dover cambiare le proprie abitudini e a rinunciare alla compagnia dei loro cari. Situazione, anche questa, potenzialmente deprimente. Ciò è accaduto perché le prime vittime del Covid 19 all’inizio del 2020 sono stati, appunto, gli anziani e i soggetti fragili. La coincidenza non deve però indurre a collocare le due condizioni sotto il comune ombrello della malattia. Tanto per essere chiari: un conto è avere un’età al di sopra dei 75 anni, altro è soffrire di una malattia. Il dottor Gianluca Isaia, Dirigente Medico SCDU Geriatria presso AOU Città della Salute e della Scienza – Presidio Molinette, Torino, ci ha accompagnato in un viaggio nel mondo dell’anziano troppo spesso incompreso e svalutato.
Dottor Isaia, depressione è un termine abusatissimo. Vogliamo spiegare cos’è davvero?
In effetti è comune sentire usare inappropriatamente il termine “depressione”. Nel linguaggio comune viene spesso associato a episodi di lieve entità o a delusioni transitorie che nulla hanno a che vedere con la depressione vera e propria. Questo però avviene anche per altre patologie come la demenza. E’ infatti frequente definirsi, o definire altre persone, “dementi” come conseguenza di una singola dimenticanza. Se da una parte l’uso dei termini è improprio, dall’altra parte rappresenta un modo forse per esorcizzare malattie di forte impatto sulla vita quotidiana e sul benessere psicofisico. Perché il Disturbo Depressivo Maggiore influenza negativamente la vita di chi ne viene colpito. Esso è caratterizzato da umore deflesso per la maggior parte del giorno associato prevalentemente a disinteresse per attività che in precedenza venivano considerate interessanti (apatia e anedonia). Si perde quindi l’interesse a partecipare attivamente agli eventi comuni, alle relazioni sociali, a informarsi e a operarsi per migliorare la propria condizione. Anche le attività che riguardano il benessere fisico e in generale la salute vengono spesso accantonate risultando quindi talvolta in una riduzione della compliance alle terapie o agli approfondimenti diagnostici. Vi sono poi sintomi correlati, quali astenia, ansia, insonnia, difficoltà a mantenere la concentrazione e alimentazione inadeguata (anoressia o iperfagia) che completano il quadro clinico e che possono presentarsi in modo più o meno intenso.
Siamo soliti dare alla depressione una radice psicologica da ricercare anche in eventuali traumi. E’ realmente così o esistono altre cause scatenanti la depressione?
Il trauma, soprattutto se psicologico, influisce marcatamente sulla genesi dei fenomeni depressivi ma non è l’unica causa. La familiarità e dunque l’ereditarietà rappresentano un importante fattore di rischio soprattutto per quanto riguarda le forme più severe di depressione. Anche fattori biologici che interferiscono sull’asse ipotalamo ipofisario sembano avere un ruolo rilevante. E’ probabile però che l’associazione tra fattori ambientali, biologici e genetici aumenti significativamente il rischio di evoluzione in disturbo depressivo maggiore.
In quanto geriatra, lei si occupa della depressione nelle persone anziane. Quanto ha impattato e sta impattando ancora, da questo punto di vista, la pandemia sulle persone anziane che sono state tristemente protagoniste soprattutto della prima ondata?
L’impatto del SarsCov2 e del conseguente lockdown sulla popolazione generale è stato notevole, ma coloro i quali ne hanno risentito maggiormente sono stati gli anziani e in particolare le persone fragili e non completamente autosufficienti. Mi riferisco a quelli che pur riuscendo a vivere ancora da soli al proprio domicilio si appoggiavano a figli o conoscenti per lo svolgimento dei compiti più complessi. Improvvisamente si sono trovati da soli ad affrontare tali situazioni e ciò ha fatto emergere le limitazioni funzionali e cognitive contribuendo a minare la fiducia in se stessi.
In particolare, l’isolamento determinato dalle misure coercitive necessarie a contenere l’avanzata del virus, e tutte le ulteriori misure di cautela finalizzate a mantenere quantomeno stabile il numero dei contagi hanno comportato inevitabilmente un’alterazione marcata della routine quotidiana di ciascuno di noi. Se però il giovane ha gli strumenti fisici e cognitivi per ridistribuire e ridisegnare le proprie attività lavorative e ludiche, lo stesso non si può dire per l’anziano che si trova ad essere ancora più isolato e confinato di quanto già non fosse. Le piccole abitudini giornaliere, fatte magari solo di contatti veloci con i vicini di casa o i commercianti di zona, si riducono o si annullano. Anche le visite dei familiari si limitano allo stretto necessario. I contatti con i nipoti avvengono solo via telefono. L’anziano si è trovato dunque a vivere una realtà alterata oltre ogni modo, a rivivere ogni giorno lo stesso orizzonte temporale percepibile dalle finestre di casa propria, a non provare più la sensazione piacevole delle relazioni interpersonali, fino a provare l’amarezza che queste misure coatte, fatte apposta per proteggerlo, lo stessero contemporaneamente anche danneggiando. Si definisce vicolo cieco una situazione nella quale ogni strada non sembra percorribile. La cura talvolta può essere o sembrare più dannosa della malattia, perché, in questo caso, potrebbe accelerare l’innesco di una serie concatenata di eventi. L’anziano esce di meno, si muove di meno, perde gli interessi, mangia di meno, il suo fisico si modifica più rapidamente facendogli perdere forza ed equilibrio, lo conduce alla sarcopenia e poi alla cachessia, a un aumento del rischio di cadute al domicilio. E tutti questi cambiamenti spesso non vengono individuati precocemente proprio perché si riduce l’attenzione sull’individuo non per trascuratezza, ma in virtù delle misure di isolamento cautelative che i familiari più giovani applicano nel contesto domestico. A questo si deve poi aggiungere la riduzione delle visite di controllo ambulatoriali. È eclatante il dato emerso da più fronti in merito alla riduzione degli accessi in Pronto Soccorso per evento cardiaco acuto. Questo è l’esempio estremo
di come anche un dolore toracico possa venire sottovalutato o sottodimensionato in relazione al possibile rischio di contagio che si avrebbe afferendo a una struttura ospedaliera. Quanti pazienti hanno evitato di recarsi in visita per il routinario controllo della glicemia, delle funzioni cognitive, dei valori pressori? Le conseguenze di tali azioni le pagheremo tutti: i pazienti in primis che vedranno complicarsi le loro condizioni di salute accelerando dunque il passaggio da invecchiamento fisiologico a quello patologico, ma anche i familiari si troveranno a dover affrontare una complessità clinica di difficile gestione domiciliare con conseguenze economiche ed emotive non trascurabili.
Quali indicazioni si possono dare ai caregiver di persone anziane o semplicemente a quanti hanno ancora i loro cari anziani per comprenderli meglio?
Le indicazioni dovrebbero basarsi sempre su un’attenta valutazione clinica del singolo caso, tuttavia alcuni suggerimenti generali si possono dare. In primo luogo è necessario cercare di preservare il più possibile la routine individuale senza stravolgere lo stile di vita seppur questo parta da nobili intenzioni. Il mantenimento delle piccole e semplici azioni quotidiane aiuta a rafforzare il senso della vita. Inoltre, ciò che maggiormente induce gli anziani all’autoisolamento è la perdita del ruolo sociale, la naturale tendenza all’emarginazione che deve essere evitata o fortemente limitata cercando attivamente e fattivamente di considerare l’anziano come una risorsa anziché un peso. Credo che considerare la vecchiaia come una malattia solo perché comporta cambiamenti radicali, spesso negativi, nel modo di vivere possa essere considerato un primum movens della deflessione timica. Certamente, una società che basa l’importanza dei ruoli prevalentemente su quanto e come si produce, non può fare altro che indurre il vecchio all’isolamento, ignorando le qualità che ancora questo possa offrire, come l’esperienza o la memoria. Non è sufficiente prodigarsi assumendo badanti o cercando le RSA migliori, non è sufficiente dedicare una settimana all’anno per portare il vecchio genitore al mare. Bisogna invece mantenere la sua autonomia senza privarlo del ruolo sociale.
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