– I segni dell’umano
Tra le riviste che si pubblicano a Napoli c’è ne una che non è la solita rivista letteraria tendente a promuovere, la poesia o la narrativa. Porta di Massa, laboratorio autogestito di filosofia epistemologica e scienze politico-sociali. È una rivista monotematica e il tema dell’ultimo numero (n. 1, Anno 2020) è dedicato al “segno”. Soprattutto ai “segni dell’umano”, ai segni filosofici a cominciare dal linguaggio dell’arte con la traduzione di Francesca Zenobi dei Plasties di Anthony Ashley Cooper Shaftesbury (Shaftesbury e le arti figurative, pp. 3-26). Una semplice filosofia casalinga, come la definisce lo stesso Shaftesbury, che guarda dentro noi stessi, dove affiora « il senso, tutto socratico, della filosofia come indagine morale condotta su sé stessi, della conoscenza che si disinteressa di astruserie metafisiche e cavilli accademici pedanti per puntare al suo supremo oggetto, l’animo umano, in ossequio all’imperativo dell’oracolo delfico» Zenobi, p. 3).
– Nel ricordo di Michele Malatesta
Proseguendo nella lettura ci piace sottolineare l’intervento di Giovanni Fuschino (Michele Malatesta. Biografia scientifica di un Logico, pp. 67-85) che dedica allo scomparso docente del corso di Logica all’Università di Napoli (non ancora “Federico II”), facoltà di Lettere e Filosofia, ubicata nella città partenopea alla via Porta di Massa. Proprio lì dove i fondatori di questa rivista (siamo negli anni a cavallo tra i ’70 e ’80) frequentavano la suddetta Università, nonché membri del “Collettivo degli Studenti”, apostrofati dagli altri studenti di altre facoltà quelli di “Porta di Massa”.
«Quando ci laureammo e pensammo alla primissima versione della rivista [una fanzine] ci venne allora spontaneo chiamarla con quello che sentivamo essere il nostro nome. Ne uscirono tre numeri e poi, alcuni anni dopo, quando molti di noi erano borsisti all’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, decidemmo di rifondarla nelle veste. (pp. 1-2).
– Falsità e linguaggio
Dunque, nel ricordo di Malatesta (scomparso nel 2018 all’età di ottant’anni, a Roma, dove si era trasferito nel 2009 all’indomani del suo pensionamento dall’insegnamento universitario per sopraggiunti limiti di età), qui considerato dal punto di vista della logica formale e della linguistica generale, discipline in cui il filosofo ha dato il meglio di sé, questo numero si completa con altri scritti. Quello di Enrico Voccia (A caccia di (ig)nobili segni, pp. 87-99) su falsità e linguaggio («La Menzogna, come esempio paradigmatico del falso, è un segno […] è un significante ad una serie di significanti volti a far credere nell’esistenza di un significato, l’idea di uno stato di cose del mondo, attualmente inesistente», p. 87), differenti tipi di linguaggio, differenti tipi di menzogna (ostentiva, analogica, digitale, strumenti principali dello scontro sociale), le fallacie logiche di scorrettezza, i meccanismi ideologici di dominio, etc.
– Sulla filosofia analitica
Italo Nobile, con On denoting. Sguardo su senso, denotazione, descrizioni definite (pp. 101-124), che ci richiama al saggio di Bertrand Russell sulla filosofia analitica, in particolare sulle “espressioni denotative che consistono «nella trasformazione degli enunciati contenenti un’espressione denotativa in stringhe formali o semiformali caratterizzate da una funzione proporzionale» – (p. 101). E da una variabile: le descrizioni definite e l’unicità, lo status delle espressioni denotative e la teoria di Meinong, il senso e denotazione nella teoria di Frege. Insomma, per Russell è il senso che denota la denotazione: «la difficoltà che ci si presenta e che non possiamo riuscire da un lato a preservare la connessione tra senso e denotazione e allo stesso tempo dall’altro ad evitare l’identificazione tra di essi. Anche al senso non ci si può arrivare se non per mezzo di un’espressione denotante» (p. 105).
Aldo Olivieri, con Il segno della coscienza (pp. 125-131) si domanda: come la riconosciamo la coscienza? La «riconosciamo presente nei nostri simili identificandola con la mente o, per lo meno, con una sua parte (p. 125). Ma c’è anche un segno diverso della coscienza umana che si manifesta attraverso il linguaggio verbale «inteso come manifestazione di processi cognitivi complessi che implicano non solo la manipolazione di simboli attraverso la ricorsività ma anche la produzione creativa dei simboli stessi, cioè la nascita delle idee» (ibid.).
Con In hoc signo vinces (pp. 133-138), cioè “solo sotto quella immagine si vince”, Maria Angarano tenta di spiegarci il vero significato della croce, ovvero di unione e fratellanza, mistificato nei secoli, in simbolo di guerra e di persecuzione (si veda Costantino). La croce «assume una importanza diversa a seconda del luogo in cui viene espost[a]: la montagna più alta, gli abissi più profondi, il suolo lunare» (p. 134). Angarano, arrivando ai giorni nostri, ci ricorda la querelle intercorsa tra la presenza o non presenza della croce nelle aule scolastiche, passando per simbologie deformate di essa, come la svastica e la stella a cinque punte delle Brigate Rosse, sinonime di terrore e supremazie. In ogni caso come simbolo di forza, di potere.
– La pennellata Shih T’ao
Ilia Tufano si sofferma, con Il pennello, l’inchiostro, il vuoto nel segno di Shih T’ao (pp. 139-147), un famoso pittore e poeta cinese del primo periodo Qing (XVII secolo), cioè sul segno di un artista che non è un semplice disegno ma una “pennellata” (come lo definì lo stesso Shitao) contraddistinta da un conflitto tra ascetismo monastico e vita mondana «che coinvolge in un solo momento e senza gerarchie tutti i livelli, fisici e mentali di chi, appunto, disegna» (p. 139).
Quindi il segno di un pittore è qualcosa in più di un semplice segno in quanto richiama sempre ad un altro segno. Qui il confronto è con le culture pittoriche lontane tra esse. Quella occidentale di carattere simbolica e trascendentale, e quella orientale di «una pratica austera, che fin dall’inizio è congiunta alla calligrafia, che si realizza tutta mediante la traccia, il segno, variamente articolato, del pennello, variamente imbevuto nell’inchiostro» (p. 139).
– La pittura orientale
Come gran parte della pittura orientale, Shitao usa l’inchiostro nero che rappresenta la possibilità di tutti i colori, con tratti di pennelli a setole larghe (la “pennellata” prima citata) in modo che ogni pennellata lasci un vuoto «come spazio non dipinto. Il vuoto entra anche quando le forme vengono lasciate incomplete in maniera tale che laddove si arresta il pennello sorga d’improvviso qualcos’altro.
L’ultimo articolo, L’evoluzione del segno in una prospettiva filogenetica ed ontogenetica. Il test della figura umana (pp. 149-152), di Ornella Marini, il segno è analizzato come possibilità di raccontare, di comunicare, di condividere emozioni sin dall’età evolutiva. Il nucleo di quest’articolo, «partendo da questa disposizione umana naturale della manipolazione dei segni con funzioni di auto rappresentazione, è stato elaborato uno dei test psicologici più sensibile, duttile ed affascinante: il Test della Figura Umana [… che] a differenza di tutti gli altri strumenti psicodiagnostici, è l’unico che non è stato prodotto dagli psicologici […] quel bisogno di comunicare e rappresentare tramite segni che è presente nella nostra specie da decine di migliaia di anni» (pp. 149.150).
Si deduce che in fondo ogni segno è una parola un linguaggio per comunicare tra gli esseri umani.