Si inaugura stasera a Caserta la mostra dedicata a Mimmo Rotella, l’inventore del décollage e aggressore artistico della ripetizione costante dell’era consumistica e commerciale
Scrivo queste righe da Piazza del Popolo, uno dei “luoghi del cuore” della mia vita universitaria durante gli anni romani, quando ogni occasione era buona per sdraiarmi sull’erba di Villa Borghese, dall’alto del Pincio, e poi, dopo una buona lettura di Cortázar o KapuÅ›ciÅ„ski, scendere tra le chiese gemelle, laddove si incrociano i colli delle tre teste di Cerbero, le tre strade di Via di Ripetta (l’antica via del porto di Roma), Via del Babuino che arriva a Piazza di Spagna e la centrale via del Corso.
Ho sempre immaginato il vecchio populus (pioppo) che ha dato il nome alla piazza e che accoglieva i pellegrini provenienti da nord e diretti verso la Basilica di San Pietro erigersi al posto della Chiesa di Santa Maria del Popolo, luogo in cui passavo per starmene, nella Cappella Cerasi, a mirare e rimirare intensamente i colori e il pathos dei dipinti caravaggeschi. Era una delle tappe obbligatorie per chiunque mi venisse a trovare o per mostrare a chi conoscessi in giro quanto ne sapessi. Ero un appassionato della storia delle strade e piazze della Città Eterna. Ricordo che avevo studiato e progettato itinerari precisi documentandomi tra più biblioteche e comprando decine di libri sulla città della “Grande Bellezza”.
Ricordo lo straordinario concerto di Moby per il cinquantenario del primo uomo sulla luna. La meraviglia di fronte all’invasione di centinaia e centinaia soldati di latta in un caldo pomeriggio di marzo. Scoprii successivamente la figura di Ha Schult, artista tedesco che portava in giro per il mondo il suo esercito dei mille da un metro e ottanta realizzati con rifiuti e scarti urbani ed industriali. È una piazza che fa sentire liberi, fa respirare, come la maggior parte delle piazze capitoline, ampie e aperte, con archi, colonnati e palazzi che abbracciano chi si trova dentro. E ricordo me abbracciato da Piazza del Popolo, nei lunghi sguardi e discorsi con Valentina, la bella sarda decisa; nelle risate con Bruna, la vivace brasiliana; nei “cheers” con il pallanuotista turco Cagatay e le birre vag-abbondanti. Ricordo la curiosità per gli artisti di strada e le loro maschere. La masnada dei venditori di rose. Ancora oggi, ogni volta che torno a Roma e passò per questa piazza, vengo rapinato dalle immagini che mi prendono i pensieri. Care immagini di un recente passato. Rapinato come probabilmente lo fu Mimmo Rotella.
Leggendo una delle ultime interviste a questo artista ho appreso che proprio da questa piazza fu rapinato e rapinò. Nel suo studio di Piazza del Popolo cominciò quella nuova forma d’arte dell’utilizzo di immagini rubate, lacerate, graffiate, aggredite e lasciate all’occhio stupito della visione altrui. Da Piazza del Popolo partì la sua invenzione del décollage: un attacco a ciò che si ripeteva nella stessa forma, colore e messaggio, soggiogato e dominato da una logica commerciale che le dava un unico fine e simile visione, nel tempo e nello spazio. Un’aggressione che donava unicità ed originalità al moltiplicato e ripetuto. “Strappare manifesti dai muri è la sola compensazione, l’unico modo di protestare contro una società che ha perduto il gusto del cambiamento e delle trasformazioni favolose”.
Parliamo dei manifesti di Mimmo Rotella. Manifesti cinematografici, politici e pubblicitari che l’artista comincia a raccogliere, distruggere, unire con altri, incollare e strappare proprio nei suoi giri in Piazza del Popolo, in un periodo di assenza di ispirazione e pessimismo artistico.
Ci furono due anni di stasi, il ’52 e il ’53. Poi verso il 1953-54 mi fermavo a guardare estasiato, entusiasta, quei manifesti sui muri che io vedevo a Piazza del Popolo dove a quel tempo avevo uno studio. Così cominciai a strappare i primi manifesti. Mi piacevano perché erano pieni di dinamica, di colore, di forza, con queste lacerazioni. E con quei colori che hanno solo le affiche italiane. Così, la notte, era più forte di me: scendevo in strada e laceravo quei manifesti, li collezionavo. Mi ricordo che li mettevo sotto il letto, nel mio studio.
Proprio all’artista calabrese, diplomatosi all’Accademia delle Belle Arti di Napoli, è dedicata la mostra antologica “American Graffiti” patrocinata dalla Città di Caserta e dall’Ordine degli Architetti della Provincia di Caserta. La mostra si terrà presso aArte Gallery in Via Leonetti a Caserta e aprirà questa sera alle ore 19.30 con un interessante aperitivo molecolare a cura dell’Associazione Saperi Golosi.
American Graffiti come il titolo del film del 1973 di George Lucas proprio negli anni in cui Mimmo Rotella viaggia e ritorna più volte negli USA. Un’America a cui l’artista è molto legato fin dagli anni cinquanta all’Università di Kansas City in cui si trovò a studiare grazie ad una borsa di studio assegnatagli dalla Fullbright Foundation e terra in cui realizzò la prima registrazione dei poemi fonetici da lui definiti “epistaltici”. E la sua figura è ispiratrice di Nando Moriconi, personaggio in cerca di una “illuminazione” interpretato da Alberto Sordi nel film “Un Americano a Roma”. Proprio negli anni50/60 che racconta con le sue immagini il film nostalgico di George Lucas. Anni Sessanta in cui Rotella sforna lavori dedicati alle affiches del cinema mondiale con i volti dei grandi miti di Hollywood.
“…queste opere sono quadri fatti con prove di stampa, affiches procurate in alcuni stabilimenti tipografici a Parigi, Milano e Roma, dalle quali emergono immagini forti, suggestive, misteriose e spettacolari. Immagini nuove, certamente identificabili ma difficilmente catalogabili, che si propongono simultaneamente l’una sull’altra e l’una dentro l’altra, raggiungendo straordinari livelli di efficacia visiva e comunicativa.”
“Neo-dadaista”, “rapinatore di immagini”, “nouveau réaliste”. Sicuramente Rotella, pur creando una serie di variazioni sulla propria forma espressiva è l’artista europeo che, mantenendo una propria autonoma identità , ha meglio dialogato con gli amici della Pop Art, anche se sosteneva: “Io penso di discendere da Duchamp. Sento forte questa derivazione europea che mi distingue dagli americani.”
Il 9 Gennaio saranno otto anni dalla sua morte e per chiunque volesse conoscere ed avvicinarsi alla sua figura, la mostra continuerà ad essere aperta a Caserta fino a fine gennaio.
Fioravante Conte