Una malattia, quella dell’Alzheimer, ancora avvolta nell’ombra. Si sa che le patologie neurodegenerative costituiscono un gruppo eterogeneo la cui progressione è piuttosto lenta. La letteratura scientifica ha dimostrato, nel corso degli anni, che la neuropatia più diffusa che calcola oltre 47 milioni di vittime in tutto il mondo secondo l’OMS, si caratterizza per una progressiva perdita di neuroni a livello della corteccia e dell’ippocampo. I segni neuropatologici sono costituiti dall’accumulo extracellulare di placche senili che contengono beta-miloide.
Tuttavia la scoperta delle cause che la co-determinano non sembrano dare quelle risposte che gli scienziati per anni stanno cercando, ma uno studio tutto italiano sembra aver individuato uno dei fattori di rischio che potrebbe spiegare il decadimento delle attività cognitive e mnemoniche: un’infezione esterna, batterica o virale. Come quella dell’herpes. La ricerca, condotta nei laboratori affiliati all’Istituto Pasteur Italia e coordinata dal Dipartimento di sanità pubblica e malattie infettive della Sapienza Università di Roma, in collaborazione con l’Istituto di farmacologia traslazionale del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Roma, l’Università Cattolica del Sacro Cuore e il San Raffaele Pisana, suggerisce che il virus herpes simplex 1 (Hsv-1) sia un possibile fattore di rischio per l’insorgenza dell’Alzheimer.
Anna Teresa Palamara, presidente della Società italiana di microbiologia. Quello che abbiamo dimostrato, per la prima volta in un modello animale come i topi, è che esiste una correlazione tra il virus dell’herpes, con le sue numerose recidive, e la neurodegenerazione tipica dell’Alzheimer. Un legame tra il virus e la comparsa di marcatori della malattia, come il peptide beta-amiloide e la proteina tau, precisa la dottoressa.
Le statistiche sulla sua diffusione sono sconcertanti. Basti pensare che solo in Italia, secondo le stime dell’Alzheimer’s disease international (Adi) colpisce circa 600mila persone oltre i 60 anni di età. Inoltre, secondo il documento stilato dall’Adi, L’impatto globale della demenza 2013-2050”, entro il 2050 il numero di persone colpite è destinato a toccare i 76 milioni di casi.
Sappiamo che il virus dell’herpes è in grado di dare recidive, annidandosi in forma latente in alcune cellule nervose situate fuori dal cervello, nel ganglio del nervo trigemino, spiega Palamara. In pratica, il virus si nasconde nel nervo, lasciando il proprio Dna dormiente nella cellula. “Quando poi viene riattivato, in un modo che ancora non conosciamo in dettaglio – continua la studiosa – il virus, attraverso le terminazioni nervose, scende verso la bocca. La nostra ipotesi è che in questa fase possa prendere anche la strada opposta, verso il cervello, producendo danni che tendono ad accumularsi nel tempo”, sottolinea Palamara.
Ci si chiede dunque cosa fare per limitare le riattivazioni dell’herpes e della sua diffusione nel cervello. In prospettiva di una futura strategia terapeutica – conclude Palamara – uno dei prossimi passi potrebbe essere mettere a punto un vaccino contro l’herpes simplex. Oppure, provare a tagliare via il Dna del virus da quello umano, attraverso l’innovativa tecnica del taglia-incolla il Dna, la Crispr-Cas9”.