«Tutto intorno a me mi ricorda della carestia e della fame. È per colpa loro che io non ho più né un marito né dei figli. Sogno il momento in cui avrò anche solo un pasto certo al giorno». È la drammatica testimonianza di Nawoi raccolta da Fondazione CESVI nel villaggio di Nasuroi, in Kenya nel Corno d’Africa, dove l’organizzazione, per supportare la popolazione, ha attivato progetti di sviluppo agricolo e pastorale e per la salute materna e infantile.
CORNO D’AFRICA, LA SITUAZIONE
L’insicurezza alimentare ha raggiunto livelli drammatici in tutto il Corno d’Africa (Etiopia, Kenya e Somalia): 20 milioni di persone potrebbero trovarsi ad affrontare alti livelli di insicurezza alimentare acuta entro settembre a causa di una siccità eccezionalmente persistente. La siccità ha avuto un impatto sui mezzi di sussistenza di agricoltori e pastori, che ha portato a una riduzione della produzione alimentare e alla morte di milioni di capi di bestiame.
Oltre a Somalia ed Etiopia, allarmante anche la situazione in Kenya dove si stima siano 4,1 milioni le persone in condizione di grave insicurezza alimentare: il 27% della popolazione soffre fame e sete e oltre 1,5 milioni di capi di bestiame sono morti. In una situazione già molto critica – determinata da conflitti armati tra clan, conseguenze sanitarie ed economiche della pandemia ed effetti del cambiamento climatico – si inserisce anche l’impatto della guerra in Ucraina che aggrava le previsioni stimate.
PROBLEMI ED ANCORA PROBLEMI
Il Paese, infatti, come il resto del Corno d’Africa, sta sperimentando una delle peggiori siccità degli ultimi decenni dopo quattro stagioni consecutive di piogge mancate, che potrebbero non verificarsi neanche a ottobre-dicembre. La siccità ha decimato i raccolti e provocato una forte moria di capi di bestiame, principale fonte di sostentamento delle famiglie, inasprendo anche conflitti tra villaggi. «Dallo scorso anno, abbiamo avuto pochissime piogge. Gli uomini e il bestiame non sono ancora tornati, non c’è niente per noi in questo momento» racconta Josephine Muli accolta al centro nutrizionale di Ngaremara, gestito da CESVI, dove il suo ultimo figlio, gravemente malnutrito, riceve le cure dei medici. Josephine, mamma di 9 bambini, è riuscita ad accorgersi subito che suo figlio era «troppo piccolo per la sua età» e a rivolgersi a personale esperto che potesse prendersi cura di lui.
PANDEMIA E CORNO D’AFRICA
A peggiorare la situazione, già aggravata anche dalla perdita di mezzi di sussistenza delle famiglie a causa della pandemia di COVID-19, si aggiunge la guerra in Ucraina: l’interruzione delle importazioni causata dal conflitto sta creando carenze di cibo per i prezzi elevati delle materie prime essenziali, tra cui grano (terzo prodotto alimentare più consumato e importato per l’86% del consumo totale), mais, utile per l’alimentazione animale (importato al 100%), oli alimentari e carburante. Il conflitto sta producendo un aumento dei prezzi in tutto il Corno d’Africa: il costo del paniere alimentare è già aumentato del 66% in Etiopia e del 36% in Somalia, lasciando le famiglie impossibilitate a soddisfare i bisogni primari e costringendole a vendere le loro proprietà ed averi duramente guadagnati in cambio di cibo e altri beni salvavita.
In Etiopia 4,4 milioni di persone vivono in situazioni di insicurezza alimentare e 4,7 bambini sotto ai 5 anni sono a rischio di malnutrizione grave. Molto critica la situazione anche in Somalia, dove si stanno venendo a creare i presupposti per una vera e propria carestia: 7,1 milionidi persone sono in condizione di grave insicurezza alimentare e oltre 805mila sono sfollate dall’ottobre 2021 a causa della siccità.
LE PAROLE DI CESVI
«L’unica soluzione possibile per far fronte all’emergenza in Corno d’Africa è quella di tornare a un’agricoltura locale, riappropriarsi di metodi autoctoni che si adattano meglio ai cambiamenti climatici.» – commenta Valeria Emmi, Advocacy and Networking Senior Specialist di CESVI. E aggiunge – «La dipendenza verso uno/due Paesi produttori di cibo, così fondamentale per la catena alimentare, deve essere interrotta, e i Paesi in difficoltà aiutati a mettere in atto sistemi di coltivazione. Anche se la guerra in Ucraina finisse, non potrà risolvere la drammatica escalation iniziata nel 2020.»
L’INTERVENTO DI CESVI CONTRO GLI EFFETTI DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO
CESVI è attiva nel Corno d’Africa dal 2006, con numerosi progetti che mirano a promuovere la sicurezza alimentare, soprattutto di donne e gruppi vulnerabili traverso programmi di sviluppo rurale, l’igiene e l’accesso all’acqua potabile e ai programmi per la salute materna e infantile. «Siamo di fronte ad una crisi umanitaria enorme: un vero e proprio disastro. Qui si muore di fame e di sete», spiega Isabella Garino, Head of Mission Cesvi in Corno d’Africa. «Stiamo distribuendo acqua e beni di prima necessità, offrendo cure mediche e programmi di nutrizione, lavorando con le comunità di allevatori e pastori più duramente colpite da questa emergenza climatica e accogliendo gli sfollati interni», aggiunge.
In particolare, in Somalia, CESVI ha attivato un intervento multisettoriale in risposta alla crisi umanitaria e alle emergenze ambientali per contribuire al miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni nelle regioni di Lower Shabelle, Mudug, Galgadug e Hiraan e migliorare l’accesso ai servizi sanitari e nutrizionali essenziali, favorire la conoscenza di pratiche igieniche per diminuire la mortalità e morbilità e favorire la sicurezza alimentare delle popolazioni colpite dalla crisi. In Etiopia sta distribuendo foraggio e medicine veterinarie per 300 pastori delle comunita’ di Sodda e Madacho, nella zona di Borena; inoltre, sta sostenendo la comunità pastorizie anche nella produzione di foraggio resistente ai cambiamenti climatici ed in particolare ha acquistato semi di foraggio che richiedono meno acqua.
CESVI IN KENYA
In Kenya CESVI collabora anche con le comunità agropastorali e le autorità governative promuovendo progetti legati allo sviluppo agricolo e fornendo strumenti e modelli per la gestione delle risorse naturali. In particolare, sostiene le piccole allevatrici di bestiame e pollame, come Nawoi, in modo che possano avere uova e carne per sfamarsi. All’interno del villaggio di Nasuroi è stato, inoltre, costruito un pozzo che permette alla popolazione di avere acqua pulita per dissetarsi, utile anche per la sopravvivenza degli animali, «Il pozzo tiene in vita molti e molte di noi» dice la donna.