Giusto per utilizzare un eufemismo, parliamo del “mestiere” più antico del mondo. Dalla notte dei tempi, tal lavoro se così è possibile definirlo, di vendere il proprio corpo per denaro, favori e ciò potrebbe far più comodo, non è più solo un problema riguardante adulti o tuttavia persone che hanno raggiunto la maggiore età. Siamo davanti ad un plotone di ragazzini/e che si svendono per comperare uno smartphone di ultima generazione, abiti, scarpe e accessori griffati.
Ma ciò che gela maggiormente di tutta questa losca e triste vicenda, è che sebbene gran parte di questi adolescenti non provengano da famiglie ricche, non sono né costretti né sfruttati, ma paradosso dell’assurdo, sono padroni sfruttatori di stessi. Si viene a sapere gli uni degli altri, magari durante l’ora di ricreazione a scuola ove magari si ammira la borsa o l’orologio super costoso dell’amica.
Ci si chiede come abbia fatto a comperarlo, ed è lì, che con tanta nonchalance a pochi amici fidati si rivela a mo’ di passaparola questo piccolo grande segreto. Il fenomeno imperversa come un fiume in piena, sempre più casi vengono allo scoperto.
Le famiglie sono sempre le ultime ruote del carro, scoprono per caso fortuito la doppia vita dei figli, ed invece le istituzioni? La scuola, gli insegnanti, sociologi e assistenti sociali, dove sono? Cosa fanno? Si limitano ad osservare i report, come l’ultimo rilevato dal nucleo di tutela dei minori della Polizia Municipale. Solo negli ultimi sei mesi sono 107 i minori sottratti al marciapiede. 30 di origine africana e sudamericana, 30 di ceppo rom, 22 provenienti dai Paesi dell’Est Europa e infine 25 nostrani, gran parte napoletani.
I dati pertanto sono davvero allarmanti nel capoluogo partenopeo. Eppure il caso non riguarda non solo ragazzine, ma anche maschi. Davvero agghiaccia sentir pronunciare le seguenti parole da un adolescente, intervistato qualche giorno fa da un collega de Il Mattino. Il quindicenne racconta senza tanti se il come, ma soprattutto perché lo fa.
“È stata una mia amica ad introdurmi in questo mondo. Era sempre piena di soldi, poteva comprarsi tutto ciò che voleva. Conosco la famiglia e so che certe cose non se le sarebbe potute permettere, così le ho chiesto come faceva. E ho saputo. Io non sono uno che batte, i clienti sanno dove sono e mi raggiungono loro. Uomini di mezza età che spesso si accontentano anche solo di toccare e poi ti sganciano 20 euro”. […] “Ho incontrato un sacco di ricchioni. Quando chiedono cose strane me ne vado, quando vogliono sapere se mi piace io mi metto a ridere. Non sono come quelli che hanno paura e si fanno fare tutto. Io penso solo che alla fine mi devono dare i soldi. E basta. Se mi pigliano non mi possono fare proprio niente. Se invece prendono loro, passano un guaio grosso. Io penso che pure questa cosa li fa sentire importanti, il pericolo li fa eccitare. Io alla fine aspetto i clienti nella mia zona. Ma mica si avvicinano e mi fanno salire in macchina. Loro parcheggiano, scendono, cominciamo a chiacchierare, mi fanno capire che sanno quello che faccio, poi andiamo al bar, perdiamo un po’ di tempo. Solo alla fine andiamo in macchina. Ma non sono ricchione. Loro fanno quello che devono fare, mi danno i soldi e se ne vanno. E poi la maggior parte delle volte non mi devo nemmeno spogliare…”.
I teenager della generazione 3.0 sono certamente ben svegli e coscienti da saper distinguere il bene dal male, ma almeno in tali circostanze sono sicuramente privi di valori. Ove primeggia solo lo spreco e un’eccessiva ostentazione per tutto ciò che è commerciale.
Nella maggior parte dei casi, la location per questi appuntamenti miseri e viziosi è il Centro Direzionale di Napoli. Cittadella stracolma di grattacieli e uffici, durante il giorno gremita di gente, mentre di notte, un’alcova per questi “incontri” tra il cliente di turno e i minorenni, che appunto svendono ciò che di loro è più prezioso, senza rendersene conto, per il capriccio del momento.