“Date parole al dolore: il dolore che non parla bisbiglia al cuore sovraccarico e gli ordina di spezzarsi”. Questo stralcio dell’atto IV della Macbeth di Shakespeare apre un dibattito sul ruolo fondamentale che la componente emozionale gioca nel processo comunicativo.
Provare delle emozioni non equivale però a saperle esprimere. Non parliamo qui di timidezza, di una ritrosia legata a qualche momento specifico o suscitata da una persona in particolare, ma di un vero e proprio disturbo. Lo psicoanalista Peter Sifneos, a seguito di un’accurata osservazione clinica, lo identificò con il termine alessitimìa (dal greco a = non, lexis = parola, thymos = sensazione/emozione), l’incapacità di riconoscere le emozioni, le proprie come quelle altrui, e dare a loro un nome, e conseguentemente l’impossibilità di comunicarle.
Ognuno di noi può sperimentare durante il corso della vita la difficoltà di decodificare che cosa accade nel proprio mondo interiore, a livello emotivo ed affettivo.
Gli alessimitici ne soffrono però abitualmente, in una costante limitazione delle emozioni accompagnata da rigidità. Dall’osservazione effettuata da specialisti emerge spesso che conducono una vita apparentemente normale, ma sono reticenti e controllanti. Tendono inoltre a rifiutare, consapevolmente o meno, il dialogo sulle emozioni e trovano strano che gli interlocutori non incentrino i propri discorsi unicamente su questioni razionali e concrete.
Chi è alessitimico non si rende dunque conto di esserlo, fino a quando non sviluppa un disagio più grave, come uno stato depressivo, o finché qualcun altro (il più delle volte il partner) non lo invita a chiedere aiuto ad uno specialista.
Se pensiamo ad una relazione di coppia, l’assenza di un chiaro e libero scambio emotivo è il segnale più evidente. La mancanza di condivisione si tramuta presto in assenza di progettualità. L’alessitimico tenderà a farsi silenziosamente carico di tutti i problemi esterni alla coppia e non riuscirà a percepire i conflitti interni, né a cogliere alcun tipo di segnale emotivo.
L’alessitimia tuttavia non è un “marchio a vita”, ma un deficit in un normale processo di crescita e apprendimento che inizia dall’età infantile. Non a caso, la relazione con i genitori durante l’infanzia, centrale nello sviluppo psicoaffettivo di ogni persona, è una delle cause principali. Come tutte le abilità umane, la competenza emotiva può essere però recuperata, allenata e migliorata. Conoscere e gestire i vissuti emotivi sono due componenti basilari dell’equilibrio e del benessere psicofisico. Prendendo coscienza del proprio stato interiore, si entra in contatto con la parte più intima di sé. Contestualmente, la riflessione sugli stati d’animo propri ed altrui contribuisce ad incrementare la capacità empatica. L’educazione ai sentimenti costituisce insomma un percorso significativo per capire meglio se stessi e gli altri.