Può una poesia dare delle risposte? Secondo Alberto Rizzi, più che darci delle risposte, serve a porci delle domande. Ce lo evidenzia nel suo ultimo volume, Domande a risposte (Youcanprint, 2017), presentando il libro stesso: «La Poesia è piena di luoghi comuni, uno dei quali è che essa serva a trovare risposte. Ciò è senz’altro vero (e vale per tutte le arti), però porta a trascurare la possibilità opposta: che la Poesia (come tutte le altre arti) serva anche a porci delle domande».
Le domande che ci pongono i testi di Rizzi, ruotano essenzialmente attorno al recupero dell’identità dell’essere, sul piano di un cambiamento e di una socializzazione, di un continuo scambio, per l’impercettibile ricerca dei particolari o dei ricordi:
? Dove si trovano il punto di colmo
e quello di rottura
? Capisci cosa intendo dire
? Sapresti meditare sugli opposti
fino a dèntr’aprìrti una ferita
dalla quale vedertici attraverso
come una rondine che filtra l’improvviso
d’un temporale estivo (p. 26).
Qui si evidenza anche la figura umana come recital di una scena teatrale in cui la peculiarità maggiore è riconoscere il banale fallimento di un sogno sostituito da un limite eretto a perfezione che, invece di preannunciare un cambiamento, si fa risucchiare nelle sabbie mobili di uno sfaldamento di un gioco geniale dei contrasti, dei contrari, di una contrapposizione contraddittoria all’assoluta falsificazione di una esistenza dove non esistono differenze, il tempo, lo spazio, ma solo abitudine a vuote sensazioni che rendono ciechi per un attimo di illusoria iconografia di antiche e plaghe immagini di una falsa epifania:
Intèrrogati su questo
dove inizia
? dove termina la bellezza
Sopra mani o ali
? o in nessùnpùnto
sotto un tocco
un fiato
? o in un nessùnluògo qualsiasi» (p. 35).
Prima di proseguire, conosciamolo un po’ più da vicino questo poeta. È nato nel 1956 ad Arco di Trento. Architetto, insegna Storia dell’Arte a Rovigo. Inizia ad operare nella seconda metà degli Anni ’70 nella pittura astratta, prima, ed allargando poi i suoi interessi ad altri campi dell’arte visiva e della scrittura. Alla poesia si avvicina nei primi anni ’80, ma solo dal 1991 inizia a pubblicare le sue poesie dapprima su fanzines e poi su riviste. Negli anni ?90 abbandona la pittura e si dedica quasi esclusivamente alla poesia. Dal ’96, si cimenta anche con il teatro, collaborando dapprima col gruppo bolognese di Teatro Sperimentale “Luther Blissett”, in seno al quale frequenta per due anni la scuola del gruppo, poi col “Teatro Polivalente” di Occhiobello. Qui si dedica alla sceneggiatura e alla regia, specie nel campo dei video art. Terminata l’esperienza col “Teatro Polivalente”, si mette a produrre video col gruppo “La Scatola dei Lumi” formato da giovani prevalentemente di Loreo (RO). Oltre a Domande a risposte, ha pubblicato circa 25 raccolte, prevalentemente auto pubblicate.
Non c’è una regola che regola le parole, non c’è un amore che renda eterno l’amore: la prima regola di una poesia è crearne una buona, usando parole più opportune, una mobilità linguistica che mini allo sformamento di una quotidianità tra delirio e vaticinio. Il presente è un sapere sacrificale nel deserto, anche se la poesia resta pur sempre poesia, mentre i suoi dintorni infiniti vuoti. In Rizzi vi è la consapevolezza di una gnoseologia che si distacca dalla paralizzante accettazione silenziosa delle cose, per farsi corporazione di una scrittura cosciente di sé che si muove verso una traslazione semantica, irriducibile, dilatata e vertiginosa.
Se nulla si muove, se tutto è avvolto dall’indifferenza, dovremmo misurare i valori umani, non il valore del sole quando si apre come si apre un fiore; dovremmo fissare il prezzo della reazione alla sottomissione di una società che ha ridotto l’uomo a cosa, non il valore della rassegnazione: fissare l’incerto che scompiglia. Anche se la poesia sembra che in questo periodo abbia perso la sua forza propulsiva, sarebbe un errore imperdonabile perseverare nell’oblio, nelle nicchie di comodo, sarebbe come dormire lunghe notti di squallidi sogni, una disperazione ancor più devastante. Dunque facciamola ugualmente questa poesia, farla e rifarla, farla e rifarla, farla e rifarla, affinché qualcuno possa donarci una via d’uscita: Rizzi ci ha provato con queste sue “domande a risposte”. Il già provarci a dare una risposta al dubbio, alle incertezze, è tanta roba:
? Quanto ci dovrebb’essere basilare
il “dov’essere”
Un’insidia il basso
una l’alto
mai un punto fermo da toccare
a cui aggrapparsi
? neppure nell’indietro nostro (p. 7).