In queste settimane sembrano essersi riaccesi i riflettori della stampa e dell’opinione pubblica sul riutilizzo dell’Albergo dei Poveri, ma sembra che tutti abbiano dimenticato il progetto che da anni con costanza il Comitato per l’Albergo dei Poveri sta portando avanti.
Il Progetto
Intanto è bene capire come realmente si articola questo progetto, troppo spesso semplicisticamente ed erroneamente declassato a “dormitori per senza tetto” che prevede invece:
- un Centro comunale diurno che offra servizi sanitari, igienici con docce e lavatrici, legali e che ospiti gli operatori costituendo una centrale operativa sociale;
- delle unità di accoglienza notturna temporanea, collegate con i servizi diurni e non basate sul principio dei dormitori dalle grandi concentrazioni;
- unità di accoglienza progettuale, residenziale, per piccoli gruppi che intraprendano un percorso di trasformazione del proprio stato e di reinserimento nel mondo del lavoro;
- un orto sociale cittadino che favorisca l’inclusione sociale.
«Non sarà un altro dormitorio vogliamo che sia la risposta del Comune» al numero crescente dei senza fissa dimora, dice padre Zanotelli nel 2013 intervistato da Ilaria Urbani per la realizzazione di “La buona novella. storia di preti di frontiera”, «quindi ci sarà un ufficio postale, un’anagrafe […] un medico ]…] legali ad ascoltare. Due o tre stanzoni in cui poter sostare, invece di girare al freddo in città, vedere un po’ televisione, leggere i giornali. Ci sarà anche la possibilità di dormire, ma solo per le emergenze».
Breve cronistoria
Si parte nel lontano 2001, quando figure e realtà operanti nell’assistenza ai senza fissa dimora indirizzano al Comune una seria richiesta di più moderni, civili e organizzati servizi assistenziali per questi cittadini più deboli ed emarginati. A essa segue a breve un concreto e ben articolato progetto per il quale era stata preventivamente individuata un’area laterale abbandonata di Palazzo Fuga (il Lotto F con accesso da via Tanucci).
Dunque, iniziano i colloqui e il lavoro di concerto con l’amministrazione per un Centro che sia a gestione esclusivamente comunale («affinché nessuno possa sospettare il perseguimento di fini particolaristici» chiarì il dott. Lupo in un incontro pubblico nel 2013), ma affiancata da un comitato di gestione dal basso, paritario e rinnovabile, costituito da tutte le realtà operanti nell’assistenza ai senza fissa dimora, anche le più piccole e anonime. Tra speranze disattese e impegni, si giunge così a quelli pubblicamente presi nel 2013 dagli Assessori Gaeta e Piscopo: coinvolgimento dell’Assessorato all’ambiente per avviare la realizzazione almeno dell’orto sociale; impegno per il reperimento dei fondi necessari, soprattutto per il funzionamento del Centro, considerando anche che all’Assessorato al Welfare sono destinati mediamente punti percentuale bassissimi del bilancio comunale; impegno per stabilire un crono-programma di concerto con le ditte già coinvolte nei lavori di consolidamento delle strutture.
Sembrano primi obiettivi facilmente raggiungibili, considerando il fine ultimo della messa in funzione del centro ma scoprirete che così non è visto l’intreccio di continue variabili: lo smaltimento di materiali particolari e pericolosi, tra cui amianto, il lavoro congiunto di più assessorati, il reperimento delle risorse umane comunali da destinare al Centro, i rapporti del committente pubblico con le imprese appaltatrici.
Una grandissima area e più idee
Al netto delle lungaggini della macchina comunale, però, sembra che il progetto del Comitato debba superare un altro ostacolo: come se assistenza facesse naturalmente rima con degrado, c’è chi ha iniziato a chiedersi con timore se un bene storico-artistico da rivalorizzare, o solo una piccola parte di esso, possa ospitare anche servizi per ‘senza tetto’. Cittadini della zona hanno a più riprese esplicitato le proprie perplessità o il completo disaccordo, molta stampa ha parlato di questo progetto come “un ostacolo” per chi vorrebbe fare dell’Albergo dei Poveri un grande museo cittadino.
Sono davvero incompatibili usi così diversi di uno spazio tra l’altro, è bene ricordarlo, così grande? Si può intellettualmente ritenere giusto che la cultura, la fruizione artistica, siano incompatibili con l’assistenza sociale e che, quindi, quest’ultima vada eliminata, o meglio nascosta, quando è evidente che queste funzioni, come anche l’orto sociale, abbiano come più alto obiettivo l’inclusione?
Spesso la pittura e la fotografia hanno avuto a propri soggetti i senza fissa dimora; ma si può continuare ad osservarli su tela o carta lucida, da un lato, e voler tenerli relegati ai margini della società e della vita dall’altro?
Intanto su questi interrogativi e sull’avanzamento dello stato del progetto abbiamo raccolto, in un’intervista che vi proporremo nei prossimi giorni, la voce del dott. Aldo Policastro, magistrato e membro del Comitato.
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