Negli infiniti post su facebook la poesia corre come un treno, anzi come le rapide di un fiume, spesso incuneandosi negli anfratti dell’inutile dire, nel silenzio dell’indifferenza. Però, succede anche che da qualche post zampilla anche della buona poesia. Ma ‒ ad essere onesti ‒, si fa una grossa fatica nell’individuare quelle sulle quali valga la pena spenderci qualche parola positiva: la maggior parte di esse lascia molto a desiderare, dimostrandosi puro passatempo, qualunquismo ad oltranza. E si comprende facilmente anche il perché “esistono”: non c’è contraddittorio, nessuno si azzarda (o in casi molto rari) a criticarle. D’altronde in un luogo virtuale dove tutti posso pubblicare quello che vogliono, è difficile che un critico spenda il suo tempo per un social che sembra un incameramento di “falsità”.
Ovviamente, qui, di volta in volta, tenteremo di presentare qualche buona poesia, ma lo faremo coinvolgendo direttamente l’autore, rivolgendogli alcune domande che avranno come argomento alcune tematiche presenti nella poesia proposta.
*
BRUNO MOHOROVICH
Vogliamo invecchiare insieme?
Che senso ha vivere così,
uniamo le nostre solitudini
ed andiamo a esplorare il mondo
in questo tempo che ci è concesso.
Riempiamo di sorrisi
e voglia di stare insieme i giorni
che abbiamo a donarci.
Torneremo poi la sera
sulla solita panchina
in fronte del mare col fruscio delle onde
o in faccia ai monti a indovinare le cime
e mano nella mano, occhi negli occhi
ridisegnare i nostri confusi attimi
e con le dolci dita percorrere
le tracce delle nostre rughe,
muto cammino delle nostre storie,
carezzandole.
(9.7.2021)
Il tema principale di questa poesia è come affrontare nel migliore dei modi la vecchiaia in una realtà che ci rende invisibili, svuotata di senso, trasfigurata da una disorganizzazione basata sulla precarietà socio-economica e culturale.
Non è certamente nuovo il sentimento della vecchiaia in poesia. Già i greci e i latini trattano spesso il tema della vecchiaia, vista come simbolo di saggezza (come nell’epica omerica) ma anche come età detestabile o accolta come pacifica rassegnazione; per es. in Saffo: «La mia pelle teme profondamente la vecchiaia / bianco divenne il capello, un tempo in trecce nere, / le ginocchia non mi reggono più / e danzano così leggere come cerbiatto / ma cosa posso fare?». Neanche il desiderio di invecchiare con la propria amata, come si evince da questa poesia di Mohorovich.
Ma chi è Bruno Mohorovich? Nato a Buenos Aires il 3/3/1953, di origine istriana. Ha 2 lauree in Sociologia e Lettere; si è sempre occupato di critica cinematografica e didattica del cinema nella scuola. Critico letterario, cura e presenta manifestazioni letterarie. Ha pubblicato il libro Nuovo Cinema… scuola per Era Nuova (2001). Collabora con la Bertoni Editore in qualità di curatore di collane di poesia ed è coordinatore del marchio “poesiaedizioni” della stessa casa editrice.
Ha pubblicato, i libri di poesie Storia d’amore – una fantasia; Tempo al tempo; Parlerò di te, quest’ultimo candidato finalista al Concorso “Fulgineamente”. Ha inoltre curato le antologie poetiche Marche – omaggio in versi e Napoli – omaggio in versi, il volume Atarcònt – immagini pesaresi, i calendari 2021 “Poesianatura” e “Alberi”, e attualmente cura le antologie Inno all’amore; Inno alla morte; Inno all’Infinito.
Con la vecchiaia non si può che non fare i conti con il pensiero della morte.
Ho letto in un tuo recente post che ti piacerebbe essere ricordato con un sorriso. Ma che cos’è per te la morte?
Ho sempre detto, e lo dico tutt’ora che il giorno che muoio m’inc… Fondamentalmente la morte mi fa paura; è un pensiero fisso che mi accompagna quotidianamente. Leggo che molti la vivono con accettazione e serenità. Per me non è così. Tutt’altro. E ne ricerco le ragioni. E credo di averle trovate nella mia prima infanzia: Vivevo a casa della nonna in un cortile dove c’erano una tipografia ed una “azienda artigiana” di casse da morto. E questo probabilmente ha segnato la mia vita in negativo, quella “fabbrica” mortuaria: martellate sulla lamiera, seghe elettriche, fiamma ossidrica e l’ultima cassa prendeva forma… Ma ci dovevo convivere per parecchi anni e come per tutte la cose si finisce col farne l’abitudine. Ecco, credo che nasca lì la mia ossessione della morte, la paura di morire senza che nessuno spiegasse.
Oggi, che sono più gli anni vissuti di quelli da vivere, la paura si fa più forte, non riesco ad accettare l’idea che la mia vita possa finire; vuoi perché ho raggiunto una certa serenità e vuoi, soprattutto, perché c’è un figlio e l’idea di non poter un giorno più godere della sua vita mi fa star male. Sarò banale, ma così è.
Quanto aiuta, se aiuta, a vincere la morte invecchiando con la propria amata?
È normale che con la propria compagna, si scherzi anche su questo tema. Ogni tanto ci si domanda: «Cosa farai, come farai quando non ci sarò più?». E si cerca di sdrammatizzare il momento. Ma è certo che avere la persona amata vicino è fondamentale, sarebbe triste dover morire da soli, senza nessuno accanto.
Quello che so, se naturalmente avrò la lucidità per farlo, è che le dirò grazie per quello che mi ha dato, che se ci sono è grazie a lei; insomma, tutte quelle parole che non sono riuscito a dirle in vita, per pudore o altro, gliele lascerò come un ricordo, una presenza viva nel suo cuore.
La poesia è nata anche da questo, pensando a due persone sole che vivono un amore, forse impossibile, fatto di solitudine; da un atto che non vorrei definire egoistico, nasce la voglia di concludere un percorso insieme.
Atmosfere d’amore e di nostalgia pervadono questi versi (… Torneremo poi la sera / sulla solita panchina / in fronte del mare col fruscio delle onde…), dove il poeta, nonostante l’età che avanza, vorrebbe riempire il tempo gli rimane con un sorriso, che è anche, non tanto una forma, sia pure perdente, di sdrammatizzare, non già la fine, ma l’unico modo che gli resta.
Già, un sorriso, magari come quello di un bambino, davanti agli occhi di sua madre: l’unico sentimento contagioso di cui non possiamo fare a meno, di cui ha tanto bisogno oggi il mondo.