Negli infiniti post su Facebook la poesia corre come un treno, anzi come le rapide di un fiume, spesso incuneandosi negli anfratti dell’inutile dire, nel silenzio dell’indifferenza. Però, succede anche che da qualche post zampilla anche della buona poesia. Ma ‒ ad essere onesti ‒, si fa una grossa fatica nell’individuare quelle sulle quali valga la pena spenderci qualche parola positiva: la maggior parte di esse lascia molto a desiderare, dimostrandosi puro passatempo, qualunquismo ad oltranza. E si comprende facilmente anche il perché “esistono”: non c’è contraddittorio, nessuno si azzarda (o in casi molto rari) a criticarle. D’altronde in un luogo virtuale dove tutti posso pubblicare quello che vogliono, è difficile che un critico spenda il suo tempo per un social che sembra un incameramento di “falsità”.
Ovviamente, qui, di volta in volta, tenteremo di presentare qualche buona poesia, ma lo faremo coinvolgendo direttamente l’autore, rivolgendogli alcune domande che avranno come argomento alcune tematiche presenti nella poesia proposta.
*
… SULL’AVANZARE
nessuna meta declina il tempo
traversarlo scricchiola cieliastri
irrompe pioggia
l’inversione giunta sull’istante
ha deviato i sassi in mente
‒ Fra tutte le innocenze
solo la meraviglia sa le cose
non conosce l’attesa; il respiro è casa
vibra oltre il nulla che esiste
lampeggia nelle ombre della sera, la certezza
di disciogliersi immagine
discendere dai quadri
e riportare il tempo avanti alle lancette; così
per testimoniare che la conoscenza
culmina nel dubbio e sono gli occhi
il solo volto che trasgredisce il dolore
lo storna al pensato, tanto che la vista ride
sulle lacrime spogliate e sugli intercalari
saggiati nel fuoco
.
– Dopo aver bordato i timpani con il sangue
il calice rosso smembra la vaghezza
la colora di rubini l’atto di innamorare
parole che sa il mistero della creazione
ne baratta il nulla con le foglie d’erba
con le fila tessute dai ragni, osa forme geometriche
spezzano il culmine al mandato
che non scorta importante la vita
ma l’istante mangiato manna e scheggia
raffina il buio, lo svanisce stupore
affiora in bocca ai fanciulli
la rivelazione che segue
.
‒ Il mattino dopo berrò la notte
l’assurdo intreccerà estri
volo la polvere regnerà memoria
la montagna ascesa materia
fuori da tutte le mura sigillerà
fra me e la strada, un’alleanza
che nessun sogno dismetterà mai …
Sull’avanzare di Alfonsina Caterino è una poesia viscerale, quasi istintiva, che procede per accumulo, e zampillando e saltellando su una diversificata scenografia che si dipana tra tracce che si trascinano fino ai confini del mito, con un linguaggio, sia pure sentimentale e tradizionale, che si riduce anche a frammenti per meglio conquistare il limite della conoscenza e controllare la sofferenza e il dolore che una vita grama sembra non lasciarla.
Ma chi è Alfonsina Caterino? Nata a San Cipriano D’Aversa (CE) il 17.9.1957, dove vive, ha seguito studi umanistici, linguistici ed è specializzata nell’insegnamento ai soggetti portatori del disturbo dello spettro autistico. Nel 2009 è stata tra i membri ideatori del Laboratorio Culturale-Poetico “DANTE ALIGHIERI” di Napoli. Ha pubblicato le sillogi poetiche Come una farfalla (Ed. Il Filo, Roma, 2007); Nel tempo della guardia (Ed. Società Dante Alighieri, Napoli, 2011). Ha pubblicato anche alcuni racconti: La casa di zucchero (Narrazioni, 2009); La luce sovversiva (segnalato dalla giuria della Casa Editrice Puntoacapo, 2014); Ad un passo dalle lucciole (Ed. Divinafollia, 2018). Suoi testi poetici, critici e in prosa, sono pubblicati su alcune riviste ed antologie italiane.
E l’andamento zigzagante dell’attesa, dell’inquietudine è un indagatore nel linguaggio di questa poesia che si confronta costantemente con una vita lacerata da eventi negativi alla ricerca di una via d’uscita, che scava nelle ferite di un animo lacerato ma non avvinto agli eventi della solitudine e del mistero di una vita che sfugge ad una realtà confusa. Sono versi che catturano fino al punto di lasciarsi trasportare dalla sua forza magmatica e travolgente con una predisposizione critica che riesce a travalicare quella sofferenza e quel dolore per un sentimento strappatole, quello di poter amare un figlio di cui ha ormai perso le tracce.
L’avanzare dunque… in questo tempo che non permette ripensamenti. Secondo l’autrice la «considerazione più urgente che mi chiama a rispondere su cos’è per me “avanzare”, riguarda il rapporto esistente tra lingua e memoria storica. In un momento in cui, come recita la domanda, non è dato all’uomo il tempo necessario per rivisitare, ripensare, riprendere significati, contenuti e diversificarli, a causa della velocità con cui si succedono e concatenano le processualità della vita, il dato che maggiormente traduce l’esperienza umana in altro, è costituita da una cornice temporale che la coscienza investe e dura nella significazione di lingue e linguaggi quali strumenti che susseguono la percezione e la traducono in lettura e scrittura del reale.
Sappiamo che tutto ciò che interessa i nostri sensi appare come energia, materia, ma mentre la materia “è” e diviene altro, cioè assume altre forme nella permanente esistenza, il divenire presuppone il cambiamento continuo di ogni cosa la quale si trasforma completamente e continuamente.
Il tempo dunque è un’eterna durata e, in quanto tale, dovrebbe avere una fine che è indimostrabile! Ci prova la scienza a definire forme di comprensione tra il passato come ricordo, il presente come sequenza di successioni apparenti ed il futuro come prospettico costrutto delle diversificazioni che intercorrono tra stadi intellettuali, razionali, passionali e i cicli che li attraversano.
Nella mia poetica prendo a prestito la concezione di Platone che definisce il tempo, “immagine mobile dell’eternità” e, del suo avanzare tra cambiamenti epocali e post-contemporanei, come scrivo in alcuni versi della poesia, penso che: «nessuna meta lo declina / traversarlo scricchiola cieli astri / irrompe pioggia / l’inversione giunta sull’istante / ha deviato i sassi in mente. L’immagine del tempo mobile mi risucchia, dilata, mentre anelo a risultare libera da tutto e inattaccabile. La spinta emotivo-poetica viaggia ad una velocità maggiore della luce; essa oscilla come pendolo, fra passato e futuro catturando sulla retina, immagini istantanee costituite di purezza! Penso a questi elementi come protagonisti assoluti dell’esperienza vita; mi incuriosisce metterli in corresponsione tra il tempo originario e il dopo tempo. A tanto aspiro poeticamente, affinché le differenze impercettibili insorgano motivi maivisti e chiedano al sole in dono, di scindere l’esistere da tutte le proiezioni, oltrepassando il senso, il nonsense, il dubbio.
Questo è il desiderio dell’uomo, il quale nella solitudine terrena non disperde la forza che rimanda ad una scrittura vitalistica e spaziale allo scopo di scavalcare entità, divinità mitologiche ed ideologiche ed individuare nei nuclei innocenti e buchi neri, la vestizione metamorfico-visionaria che travalichi la materia carne e insorga inimmaginabili presenze… ».
Leggendo questi versi non possiamo che constatare una sensazione di vuoto, di malessere che le produce però quel materiale di insoddisfazione che alimenta una narrazione di vita vissuta, è ovvio, ma anche un variegato mondo interiore, altrimenti, probabilmente, destinato all’anonimato.
I toni diventano dissonanti, ma capaci di incidere sulla realtà, con i segni demolitori di una sottomissione per una visione più ampia e combattiva, le permettono di non auto-flagellarsi, di non far diventare il proprio dramma una malattia, ma denudandosi dalle congetture e censure quotidiane sdrammatizzando, appunto, la sofferenza, il dolore per la perdita di ciò che probabilmente non torna più indietro, e la convinzione, imperterrita, di non arrendersi, facendosi attraversare dal martirio delle ferite che con consapevolezza riversa nei suoi versi, senza lacrime, magari con un po’ di ironia, sia pure come pausa nella monotonia quotidiana: il poeta è vinto dal tempo ma non sconfitto, nonostante il suo grido di disperazione che, riecheggia nell’aria, lascia profonde incisioni sul corpo della parola nel tentativo di piegarla.
E nel tempo di questo tempo, apparentemente senza via d’uscita, come riesce a trasgredire il dolore di un amore che si è perso o si è improvvisamente allontanato la nostra Caterino, come si evince da questi versi? «Questa credo che sia la domanda più interessante, essenziale direi, nel dialogo che implica la capacità dei sensori, di insorgere risposte come campi biologici il cui attraversamento, sull’onda delle emozioni, fa superare il momento doloroso vivificando nell’individuo, energie esistenti nel laboratorio del potenziale. Vibratili esse spaziano nel vuoto lasciato dalla persona morta o che si è allontanata, fino a creare intorno alla condizione dolente, altre strutture le quali manifestandosi si attestano forze sconosciute e conclamano in scorta alle facoltà dell’uomo, nuove grammatiche universali.
Gli spaccati di vita quotidiana sono carichi di attese, di illusioni, della “buona volontà cristiana” laicamente esprimibile come presunzione al diritto di una vita felice, costellata di gioie e meraviglie favolose. La psichiatria chiama tali desideri, aspettative le quali quando non si concretizzano, possono indurre l’individuo in grande sofferenza psichica. La cultura ha sempre necessità di guardare indietro per rapportare col presente, il valore e mistero della vita, dell’amore, delle sofferenze, del dolore e della morte».
Soltanto la meraviglia (e la ricerca dell’amore) riesce a spalancare gli occhi del poeta, anche al di là del nulla, delle incertezze, quasi in un tempo fermo che riesce comunque a smembrare la vaghezza e il mistero della vita che avanza e non lascia scampo.
E intanto, il tempo non disgiunge, come s’intitola un volume di poesia di Alfonsina Caterino, che sta per uscire con le Frequenze Poetiche, con l’assenza di chi si ha più caro al mondo (un figlio, per es.), dilatando l’assenza fino a divenire mitopoiesi.
«Riguardo “all’assenza” ‒ aggiunge la Caterino ‒, è la storia che scorre perpetuamente tra memoria e reale il presente che transita quale tempo che nella mia poetica penso nella percezione kantiana, vale a dire che esso assieme allo spazio diviene “forma a priori della sensibilità”. Mentre l’uomo, divenendo egli stesso infinità, non coincide con lo scorrere meccanico di secondi, minuti ed ore, ma conserva nella coscienza un tempo originario, variabile nella sua funzione che si attesta capolinea diverso ad ogni inizio».
Secondo Caterino, tutto deve avvenire fuori del tempo in quanto «essere nel tempo diviene evento-dono e dolore. La sua appartenenza ad un corpo dapprima vissuto nel senso d’indistruttibilità e autonomia, si concrea materia e tensione. Ed è proprio il corpo, a rappresentarsi sconvolgente presenza che irride, scompone e svapora, onirica e concreta, felicità-sofferenza, dolore-morte, i cui varchi trasfondono in ignoti vincoli, lo spettro della fine, del vuoto che si sente, pieno…. Trasgredire, quindi assurge alla volontà di sconfinare, andare a scoprire le deviazioni, i silenzi e trasformarli in inizi, mentre il dolore squama sulla soglia…».