Che il settore agricolo sia responsabile del 25% delle emissioni di gas serra non è certo una novità, ma i protagonisti di COP21, nonché autori dell’Accordo di Parigi, sembrano aver ignorato completamente questo dato e l’importante ruolo che l’agricoltura può giocare nella lotta al cambiamento climatico. Quest’ultimo potrebbe passare non solo attraverso la riduzione delle emissioni, ma anche attraverso il migliore utilizzo dei fertilizzanti e delle colture leguminose così come incrementando il livello di carbone immagazzinato nel suolo.
Insiste molto su quest’ultima soluzione la proposta della Francia, l’unica presentata a COP21 sul tema, e denominata ‘iniziativa 4 per 1000’ : si tratta di un piano pensato per isolare il carbone nel suolo usando tecniche specifiche, ma i cui benefici di certo non basterebbero ad assolvere le multinazionali dell’agribusiness dalle loro responsabilità.
D’altro canto anche i piccoli agricoltori sono chiamati ad affrontare le inevitabili sfide derivanti dal cambiamento climatico e ad adattarsi a fenomeni atmosferici sempre più estremi ed instabili. Per farlo è essenziale mettere in atto nuovi sistemi di coltivazione, proteggendo le colture e dando priorità alla loro diversificazione che, a sua volta, rafforzerebbe la resilienza. Per dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2050 e far sì che lo sviluppo diventi davvero sostenibile, il settore agricolo dovrebbe quindi ripensare radicalmente e globalmente il suo modello di funzionamento.
Modificare le abitudini dei consumatori è altrettanto imprescindibile per attenuare l’impatto del carbone sull’ambiente. Oggi, per ogni chilo di carne rossa prodotta vengono emessi circa sei chili di CO2. In tal senso l’agro-ecologia può rappresentare una parte importante della soluzione. Per agro-ecologia si intende un modo di concepire i sistemi di produzione in base alle funzionalità offerte dell’ecosistema; così facendo, queste ultime vengono valorizzate mentre diminuisce l’impatto sull’ambiente e si preservano le risorse naturali e la loro capacità di rinnovarsi. L’agro-ecologia restituirebbe autonomia agli agricoltori, sviluppando economie circolari e collaborative, nonché promuovendo la produzione locale e il consumo dei prodotti stagionali. E’ stato stimato inoltre che la riduzione del 10% della lunghezza della catena di produzione e distribuzione agroalimentare permetterebbe di creare tra gli 80 mila e i 100 mila posti di lavoro. Dal punto di vista istituzionale però, ciò richiede che la politica dell’agricoltura venga pensata a livello locale e non più dall’alto come avviene oggi.
In quest’ottica FOCSIV, insieme con CIDSE, è impegnata in un lavoro di advocacy centrato sul rafforzamento dei sistemi alimentari locali e sulla promozione dell’agro-ecologia, attività strettamente connessa al contemporaneo lavoro di contrasto ai sistemi agricoli industriali intensivi. Promuovere la piccola agricoltura famigliare significa anche dimostrare l’esistenza di alternative sostenibili al modello produttivo agroalimentare su larga scala, e per raggiungere tale obiettivo FOCSIV, attraverso il lavoro sul campo nei Paesi in cui operano i suoi Soci, supporta concretamente i produttori delle comunità locali nella creazione di reti tra piccole realtà agricole, in modo tale da restituire loro quel potere sociale, politico ed economico che ora viene loro negato.