Se agricoltura sostenibile è un concetto che in Italia si sta realizzando già da un po’, quello di sovranità alimentare è del tutto nuovo. Nato in seno alle popolazioni indigene, l’idea si è allargata a poco a poco a tutte le latitudini fino a diventare un diritto.
La Vía Campesina
Nel 1993, 182 organizzazioni di 81 Paesi diedero vita, a Mons in Belgio, all’organizzazione di agricoltori La Vía Campesina. Si propose come “movimento internazionale che coordina le organizzazioni contadine dei piccoli e medi produttori, dei lavoratori agricoli, delle donne rurali e delle comunità indigene dell’Asia, dell’Africa, dell’America e dell’Europa“. L’organizzazione si batte per riconoscere i diritti dei contadini, dalla riforma agraria al diritto dei contadini alle sementi e a fermare la violenza contro le donne.
Tre anni dopo la nascita del movimento, in occasione della Conferenza internazionale di Tlaxcala, in Messico, i membri de La Vía Campesina coniarono un nuovo termine: sovranità alimentare. Il termine nacque in contrapposizione con il modello della globalizzazione e dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) per promuovere un modello che legasse agricoltura, biodiversità, cultura ed ecosistemi. Per capire bene cosa si intende per sovranità alimentare dobbiamo leggere la “Dichiarazione di Nyéléni” adottata durante il primo Forum per la sovranità alimentare del 2007 a Sélingué, Mali.
Cos’è la sovranità alimentare
La sovranità alimentare è il diritto dei popoli a un cibo sano e culturalmente appropriato, prodotto con metodi ecologicamente corretti e sostenibili, e il loro diritto a definire i propri sistemi alimentari e agricoli. Mette coloro che producono, distribuiscono e consumano cibo al centro dei sistemi e delle politiche alimentari piuttosto che le richieste dei mercati e delle aziende. Difende gli interessi e l’inclusione della prossima generazione. Offre una strategia per resistere e smantellare l’attuale regime commerciale e alimentare aziendale e dà indicazioni per i sistemi alimentari, agricoli, pastorali e della pesca determinati dai produttori locali. La sovranità alimentare dà priorità alle economie e ai mercati locali e nazionali e potenzia l’agricoltura guidata dai contadini e dalle famiglie, la pesca artigianale, il pascolo guidato dai pastori e la produzione, distribuzione e consumo di cibo basati sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
Pensare alla sovranità alimentare come a un movimento che guarda esclusivamente alla natura e alla lotta contro gli organismi geneticamente modificati, tuttavia, è riduttivo. Le politiche agricole promosse da La Vía Campesina mettono il cibo al centro di un processo di giustizia sociale e democrazia. Una buona politica agricola non può prescindere, infatti, dal garantire l’accesso alla terra e dall’operare una distribuzione del potere economico.
L’agricoltura sostenibile come diritto in Italia
Il primo Paese a decretare la sovranità alimentare è stato l’Ecuador nel 2008. Hanno seguito Venezuela, Mali, Bolivia, Nepal, Senegal ed Egitto. Nel 2011 si sono registrati i primi accenni di un movimento per la sovranità alimentare europeo. Nel 2012, nella Francia di Macron, il ministero dell’agricoltura è diventato ministero anche della sovranità alimentare. Da due giorni anche l’Italia del governo Meloni ha adottato la stessa scelta. La sovranità alimentare, oltre a non avere nulla a che fare con il sovranismo politico, si configura come urgente per i nostri tempi secondo quanto affermato da Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia: “La sovranità alimentare è un diritto che riguarda tutti gli individui, quanto mai attuale oggi“. Da molti anni Slow Food ha al centro del suo interesse la sovranità alimentare sostenendo le comunità locali, le connessioni tra cibo e territorio, proteggendo la biodiversità.