I prodotti ottenuti dall’agricoltura convenzionale italiana, oltre ad essere caratterizzati da un ottimo sapore e aspetto, evidenziano soprattutto un’elevata salubrità. Ciò è stato confermato anche dagli ultimi risultati del controllo ufficiale sui residui di prodotti fitosanitari negli alimenti relativi all’anno 2014. Sono stati analizzati complessivamente quasi 9000 campioni per verificare la presenza di residui di tali prodotti, e solo in 29 si sono riscontrati valori superiori ai limiti massimi consentiti dalla normativa vigente, con una percentuale di irregolarità comunque molto contenuta, pari all’0.3% (il livello di irregolarità è diminuito anche rispetto all’anno precedente in cui si attestava allo 0.5%). Il Ministero ha analizzato anche 397 campioni di prodotti biologici, rilevando che nel 95% dei campioni non risulta alcun residuo di prodotti fitosanitari.
Anche in relazione a questi dati, si evince la necessità di dotarsi di un sistema che permetta di valorizzare al meglio l’elevata qualità dei nostri prodotti agricoli. E’ fortunatamente venuto in soccorso dell’agricoltura italiana il PAN, il Piano d’Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, in seguito al quale è stato istituito un marchio di qualità noto con la sigla SQNPI (Sistema Qualità Nazionale di Produzione Integrata). Questo marchio rappresenta un’innovazione di elevato impatto, in quanto permette di certificare le nostre produzioni agricole sugli scaffali dei supermercati e di informare il consumatore sul prodotto che sta acquistando.
Ma per fare ciò è necessaria la “formazione” di agricoltori, tecnici e rivenditori, come prevede lo stesso PAN. Il punto debole in tale ambito è attribuibile alle Regioni. Queste ultime, invece di attivare i corsi necessari e renderli fruibili in maniera semplice e immediata, applicano procedure burocratiche macchinose che portano solo ad un allungamento delle varie tempistiche, scoraggiando gli utenti.
Le principali problematiche riscontrate nel sistema di formazione nazionale per agricoltori, tecnici e rivenditori consistono innanzitutto nel mancato riconoscimento reciproco della formazione tra Regioni (benché il certificato finale sia valido a livello nazionale, come dice il PAN stesso, e i contenuti siano uniformi a livello nazionale). È grave anche la mancata attivazione della formazione a distanza (FAD) prevista dal PAN, e addirittura incomprensibile il mancato coordinamento delle procedure di emanazione dei certificati tra le Regioni. Vige, in altre parole, l’incapacità di applicare la giusta norma: il PAN.
Questi sono i tarli contro i quali instancabilmente si combatte fin dall’entrata in vigore del PAN, ovvero da oltre un anno, ottenendo risultati minimi per la sordità delle amministrazioni, che vedono nelle lungaggini burocratiche lo strumento per giustificare le loro stesse inadempienze.