Terza tappa alla Casa della Musica di Napoli per Manuel Agnelli e gli Afterhours che con il “Club Tour 2013” toccheranno la maggior parte delle città d’Italia per poi volare ad Agosto a Budapest allo Sziget Festivalziget Festival
Una bottiglia di plastica strabordante di vino davanti ai miei occhi distoglie lo sguardo dal candore degli abiti di Manuel Agnelli, Giorgio Prette, Giorgio Ciccarelli, Roberto Dell’Era, Rodrigo D’Erasmo, Xabier Iriondo. Gli Afterhours sono a Napoli, alla Casa della Musica, per la terza tappa del “Club Tour 2013” che, partito dall’Estragon di Bologna il 2 marzo, toccherà numerosi clubs di tutta Italia, dopo gli ultimi tour tra palasport e strutture all’aperto. Si concluderà a Perugia il 30 Aprile per poi far tappa in terra europea ad Agosto, allo Sziget di Budapest.
Manuel e compagni sono completamente avvolti da vestiti bianchi. È la prima volta che li vedo con il bianco. Oggi, né come giornalista, ma soprattutto né come pertinace seguace della poetica e del rock del gruppo, potevo mancare.
“È vino paesano, direttamente da Potenza. Assaggia”. Ne bevo un sorso sotto i colpi insistenti di questi due ragazzi, cercando allo stesso tempo la soluzione per una visuale migliore. Ed intanto salgono le urla e si comincia:”Due ciminiere e un campo di neve fradicia, qui è dove sono nato e qui morirò”. È Padania. Cioè sì, siamo a Napoli, intendevo la canzone. Lo stacco aggressivo con le chitarre è quasi una interpretazione teatrale con i due istrioni Manuel Agnelli e Xabier Iriondo semplicemente perfetti. Dell’ultimo lavoro, Padania, targa Tenco come “Album dell’Anno”, Premio della Critica di Musica & Dischi, Premio P.I.M.I. come “Gruppo dell’anno” e Targa Indie Music Like, non ne manca quasi nessuna. É presente non solo la Campania, ma molto Sud Italia. Tre fasce d’età : quarantenni, trentenni e ventenni. Alcuni aggrappatisi agli ultimi album, qualcuno forse solo all’ultimo ed alla bellissima ballata Nostro anche se ci fa male che Manuel canta con trasporto assoluto. Sulle note di questa canzone ho al mio lato due diciottenni che si chiudono l’uno nell’altro. Più dietro una coppia di trentenni. So di sicuro che c’è anche una coppia di quaranta anni lei e quarantotto lui che seguono gli Afterhours dai primi album in inglese. Li ho incontrati prima che cominciasse il concerto. Sono di Giffoni Valle Piana, la città famosa per il festival del cinema, diventata, negli ultimi due anni, location prescelta per il Neapolis Festival, la cui ultima edizione napoletana si tenne nel 2010 all’Acciaieria Sonora. In quell’occasione ci furono anche gli Afterhours.
Un ultimo album caratterizzato dall’eterno desiderio di una donna, in bilico tra il possederla e il perderla, tra realtà e finzione, con una visione onirica dell’amore. Amori finiti male, anime in subbuglio, scombussolamenti di pensieri. La carica e la rabbia di Manuel e compagni è forte e trascina tutti. Un concerto molto più duro e rock del solito. La tempesta è in arrivo, quasi un presagio. “Siamo il miglior pubblico di Napoli” sento gridare alle mie spalle, una ragazza con una t-shirt nera con su scritto “Ho tutto in testa ma non riesco a dirlo”, famoso pezzo dei primi Afterhours. E subito dopo “Sei grande Manuel”.
Ci si interroga sulla libertà in Metamorfosi, una finta libertà , di cui si è sempre alla ricerca, vaga chimera. Un sound da capogiro, perfetto in ogni suo componente, nessuna sbavatura. Dal vivo si confermano magnifici. Amore per l’odio, due sentimenti diversi ma fondamentalmente uguali in Terra di Nessuno in cui “il debole muore da sè”. Mondo vecchio e finte adorazioni in Costruire per distruggere ed il boato del pubblico che esplode in tutta la sua carica al “Sarà bellissimo, fare parte della gente senza appartenere a niente mai”. Passano Fosforo e blu e Ci sarà una bella luce ed il suo chiedersi “Tu credi ci si possa emozionare per un’alba sempre uguale”? L’invito a correre sempre, l’inferno della realtà , il ghigno della faccia di un barbone, i giorni scuri. Una bella luce, una casa a cui tornare. Ci sarà ? Non manca nemmeno il messaggio promozionale dell’ultimo album che invita a boicottare la tv per non sprecare appunto una vita. L’attesa del piacere è essa stessa piacere, la massima di Gotthold Lessing in Spreca una vita, ultimo singolo lanciato, in cui si canta “Aspetti qualcosa, lo aspetti una vita e poi quel qualcosa era proprio l’attesa”.
“Ma tu hai imparato ad amare il tuo dolore, piuttosto che non amarmi più” l’amore ancora protagonista ed una storia finita. Qualcosa che si desidera far tornare, che ti appartiene anche se ti fa male. E lo rivuoi. Tutti a cantare. Nostro anche se ci fa male, forse la più amata dell’ultimo album di cui è mancato solo Io so chi sono, la strumentale Iceberg ed il secondo Messaggio promozionale. Non manca nemmeno Giù nei tuoi occhi e La terra promessa si scioglie di colpo.
È solo febbre e, per restare in tema politico, Tutti gli uomini del Presidente dell’album del 2008, “I Milanesi ammazzano il sabato”.
C’è un’armonia perfetta sul palco, sintonia anche di rabbia e sentimenti che rendono pezzi quali “Il sangue di Giuda”, “Bye Bye Bombay”, “Bungee Jumping” delle sintesi perfette di virtuosismi musicali, interpretazioni sonore e potenza significativa delle parole. “Sento che la musica deve toccare le emozioni prima, e l’intelletto poi” diceva Maurice Ravel. Mi ha toccato molto forte se con la prima spallata di un ragazzino molto più basso di me già sono al tappeto. Siamo nel mezzo di Male di miele, faccio qualche passo più dietro. Direttamente dal 2005 scoppia La vedova bianca dopo la crisi d’astinenza per la “mia piccola iena” che manca. “Io non tremo, è solo un po’ di me che se ne va”: Manuel lascia gridare al suo pubblico la parte pulsante, il cuore di Bye Bye Bombay. Ecco che passa anche Varanasi Baby.
Ma senza alcun dubbio, la perla di questo concerto è la splendida versione di Il mio ruolo, sussurrata, quasi un sussulto dell’animo, palesemente sentita e resa emotivamente in maniera superba. Non manca nemmeno la Sinfonia dei topi, ed il “faccio ciò che voglio e mi fa sentire meglio”: .
Partono in successione i pezzi famosi dell’album “Hai paura del buio”, annata 1997, insignito del premio miglior disco indipendente degli ultimi 20 anni. L’amore sofferto e la ricerca nel “dove sei” finale di 1.9.9.6. Scorrono Rapace, Elymania, Punto G e Veleno.
Si aspettano le ballate più celebri: Quello che non c’è (Italian Music Awards nel 2002 per il miglior testo italiano), Non è per sempre, Strategie, Ci sono molti modi, Dentro Marylin (ormai abituati a non ascoltare) la meravigliosa “Pelle”. Ma come Ballata per mia piccola iena ancora non arrivano.
Ogni gruppo comincia a mormorare e intonare una canzone. Ma senza accorgercene sono trascorse due ore e mezza. Giusto il tempo di “Voglio una pelle splendida”. Termina il concerto, quattro uscite di scene, un po’ di amarezza: ma si sa, funziona così ad ogni concerto. Ognuno di noi è sempre legato a qualche canzone che non viene fatta. Ma è ora di tornare a casa: inizia a piovigginare, corro in macchina, giro la chiave, l’auto si accende, anche lo stereo… “Ho questa foto, di pura gioia…”
Fioravante Conte