Il titolo del libro di Domoslawski è di per sé esaustivo e apre uno squarcio su un aspetto molto dibattuto dell’attività giornalistica di Kapuscinski.
Il buon giornalista, diceva Kapuscinski, è colui che racconta la realtà senza stemperarla, per quanto possibile, con le proprie passioni e i propri punti di vista. Lo stesso reporter polacco, però, metteva in guardia: non sempre ci si riesce, tuttavia, l’importante è avere l’intento giusto, la voglia e il dovere di cercare e raccontare la verità, consci del fatto che, qualche volta, si può anche perdere la retta via.
Perdere la retta via…C’è chi ha affermato che Kapuscinski era borderline. Non un vero reporter-giornalista, ma un Giano bifronte. In un’unica testa coesistevano, con pari dignità, il giornalista e il letterato. Il prodotto, secondo Domoslawski, suo allievo e amico fraterno, era un reportage romanzato, in cui i ricordi e lo spirito del poeta mancato (Kapuscinski adorava la poesia) annacquavano inevitabilmente il racconto degli eventi vissuti e riportati alla stampa (o nei suoi libri). Sì, è vero, ma forse solo in parte. Il grande merito di Kapuscinski è stato quello di aver fatto rivivere attraverso i suoi occhi storie lontane da noi occidentali, che pochi raccontano e che tanti non conoscono. Per fare questo Kapuscinski aveva bisogno di calarsi nella realtà che lo circondava; se non lo avesse fatto, avrebbe rischiato di riportare un racconto asettico, privo del coinvolgimento necessario che gli permetteva di trasmettere ai suoi lettori i resoconti delle avvincenti e tragiche dinamiche politiche (e umane) che aveva vissuto, specialmente in Africa. Raccontare certe storie in modo romanzato era forse la scelta vincente, o comunque quella che a Kapuscinski sembrava essere tale. Bisogna appassionare il lettore, coinvolgerlo in storie che, per cultura e formazione, non gli appartengono.
La reazione personale che ognuno di noi ha di fronte agli accadimenti, ai fatti o alle frasi ascoltate, era l’humus dei reportage di Kapuscinski. Perché chi siamo, il nostro bagaglio emotivo, le nostre esperienze vissute (e non vissute), la nostra educazione e formazione, inevitabilmente rendono unico il resoconto di ciò che vediamo e ascoltiamo. E questa è una considerazione a cui Domoslawski non ha dato, sovente, il giusto peso. Per dimostrare che molti fatti narrati da Kapuscinski erano spesso inventati o ingigantiti, Domoslawski riporta nel suo libro le testimonianze di amici, conoscenti e amici di amici. E’ curioso come sia lo stesso Domoslawski a fornirci una chiave di lettura contraddittoria rispetto a quelle che sono le sue intenzioni.
Nel suo libro, Domoslawski sottolinea spesso che Kapuscinski era solito ingigantire gli eventi, rendendo drammatico ciò che non lo era, unicamente per infondere il giusto pathos nel lettore. Mi ha colpito molto un episodio riportato da Domoslawski nel capitolo “Leggende (2): condannato alla fucilazione”, che fa riferimento ad un evento raccontato nel libro di Kapuscinski “La prima guerra del football”. Secondo Domoslawski, il racconto del reporter polacco era enfatizzato notevolmente rispetto alla versione del figlio di Boucek, il capo della spedizione in Congo di cui faceva parte anche Kapuscinski. Domoslawski quindi, per affermare l’inesattezza di alcuni fatti accaduti durante la spedizione in Congo si affida al ricordo, non di colui che aveva partecipato alla spedizione con Kapuscinski, bensì al ricordo del racconto che un padre aveva fatto al figlio, in chissà quale circostanza e chissà quanto tempo prima. Il ricordo di un ricordo che non è il nostro, difficilmente può essere attendibile… Utilizzare questa fonte per dimostrare l’esagerazione di quel fatto vissuto da Kapuscinski in Congo è davvero sconcertante. Il reporter polacco racconta che lasciato il Congo, capitò al gruppetto di giornalisti l’occasione di salire su un aereo dell’ONU diretto in Burundi. Gli operatori dell’ONU non si mostrarono ben disposti ad aiutare i giornalisti e alcuni di loro affermarono “Sarebbe meglio fucilare subito questi giornalisti!”. Il peso che diede Kapuscinski a queste affermazioni fu enorme, Boucek invece non temette neanche per un attimo che lo avrebbero fatto. L’aeroporto di Usumbura (dove si trovava l’aereo dell’ONU) era pieno di civili, piloti e impiegati; non avrebbero mai fatto una cosa del genere, ci sarebbero stati troppi testimoni.
Perché Kapuscinski diede tanta enfasi a questo episodio? Forse lo infastidì una simile affermazione fatta da chi doveva essere dalla loro parte? Se fosse così, come dargli torto. Forse perché in quei giorni tutto il gruppo era stremato e nervoso perché non riusciva a ritornare in patria e quelle affermazioni, sputate lì da chi poteva alleviare in quel momento tutte le sofferenze di quei giorni, era maledettamente fuori luogo? Non lo sapremo mai. Sta di fatto, che se la cosa non fosse stata per Kapuscinski di rilievo, probabilmente non l’avrebbe riportata. Oppure, magari, quel capitolo del libro non era particolarmente ricco di pathos, e Kapuscinski aveva bisogno di destare l’attenzione del lettore, forse un po’ assopito? Perché no, ci può stare, e allora in questo caso avrebbe ragione Domoslawski. Sta di fatto, (si può essere d’accordo o meno), che Kapuscinski ha creato un modo nuovo di fare cronaca, ha creato il personaggio dell’eroe- giornalista, ha creato il suo mito.
Quando scoppiava una bomba oppure quando accadeva qualcosa di eclatante in paesi lontani, lui era sul posto, ma non si accalcava come gli altri giornalisti “sul fatto” per inviare alla redazione in tempo zero quanto aveva appreso. Non gli interessava. Per quello c’erano nugoli di colleghi che lo facevano. Kapuscinski voleva sapere perché era scoppiata quella bomba, voleva capire i retroscena di eventi e fatti eclatanti. Quando la notizia non era più sulle prime pagine dei giornali, allora Kapuscinski cominciava a muoversi, a documentarsi, ad andare tra la gente a raccogliere informazioni, a farsi aprire il cuore per avere notizie più vere e diverse rispetto a quelle raccontate dai canali ufficiali. Infine, a freddo, passava in rassegna il suo materiale e lo plasmava, tirandone fuori storie uniche e resoconti originali che andavano poi a formare i suoi libri. Artur Domoslawski: la vera vita di Kapuscinski – reporter o narratore?: entrambi, perché no.
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