Giugno è il mese della sensibilizzazione per Microcinema, società di distribuzione che dal 2012 compie la scelta coraggiosa di portare in sala contenuti ‘difficili’ optando per una linea editoriale d’autore. Dopo The dark side of the sun al cinema dal 19 giugno, è la volta di ADHD-Rush hour che esce invece il 26 giugno. E’ un altro documentario che affronta le tematiche della malattia e dell’infanzia ma stavolta problematizzando sugli effetti globali che un certo comportamento socio-culturale può innescare.
L’ADHD con tanto di menzione nel DSM (The Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder) il manuale di riferimento per gli psichiatri di tutto il mondo contenente le definizioni delle malattie mentali e relative cure farmacologiche, è il disturbo di deficit di attenzione che si manifesta nell’età infantile e che presenta sintomi quali poca concentrazione, iperattività, grosse difficoltà di apprendimento. Comportamenti così comuni nell’età pre-adolescenziale e riscontrabili nella maggior parte dei bambini, che la comunità scientifica è spaccata in due rispetto alle modalità di risoluzione dei disagi che queste caratteristiche comportano. Certo è che la tendenza del mondo anglosassone in particolare, in opposizione ai paesi del mediterraneo, negli ultimi dieci anni è stata sempre di più la scelta di una diagnosi che categorizza quei comportamenti in termini di malattia mentale e sceglie la cura farmacologica a base di metilfenidato, uno stimolante che produce effetti simili a quelli delle anfetamine, agendo sul sistema nervoso centrale e permettendo la concentrazione del soggetto su attività mentali piuttosto che su quelle fisiche, calmando quindi anche l’irrequietezza motoria. Gli effetti immediati sono sorprendenti rispetto alla disciplina riacquistata e al rendimento scolastico, ma altrettanto quelli collaterali, relativamente alla salute fisica (problemi cardiovascolari ed epatici) e alla salute mentale, in quanto la somministrazione di determinate sostanze in un’età in cui l’individuo si forma e costruisce la propria personalità non può non agire su tutti i comportamenti futuri anche in età adulta, si è riscontrata in merito infatti una tendenza suicida sempre più frequente nei soggetti.
Stella Savino ci propone diversi spunti di riflessione tramite numerose interviste a vari medici, con diverse idee rispetto all’uso dei farmaci e alla diagnosi della ADHD. Affronta inoltre due casi, uno italiano e l’altro americano, di famiglie alle prese con questa “malattia” e le relative difficoltà emotive che la scelta di somministrare al proprio figlio delle droghe, comporta.
Per raccontare la problematica, già affrontata ampliamente e non senza difficoltà dalla stampa,perché sono argomenti delicati che possono procurare guai a chi indaga troppo a fondo considerando che le società farmaceutiche sono molto potenti, sono partita dal presupposto di voler sollevare delle questioni in chi guarda il documentario, era necessario quindi per me il più possibile costruire il montaggio sulla base di un contraddittorio.
Il caso americano, la storia del piccolo Zache che inizia a prendere farmaci dall’età di 3 anni, ci svela anche l’esistenza del STP, Summer Treatment Program, un campo estivo in Florida che accoglie bambini con ADHD e prevede una serie di attività incentrate sulla correzione dell’iperattività considerando essenziale, accanto alla cura farmacologica, quella di una terapia comportamentale.
La collaborazione al progetto da parte del Professor Stefano Canali (ricercatore in Storia della Scienza al Laboratorio Interdisciplinare della SISSA) ci indirizza infine verso la riflessione su quanto le diagnosi di malattia siano opinabili e relative a tendenze socio-culturali momentanee (si pensi alla omosessualità che fino agli anni settanta è stata presente nel DSM) intrecciate ai soliti interessi economici, e alle aspettative che la società di quella determinate epoca ha per ogni individuo.