Lo scorso 17 gennaio è morto il filosofo Emanuele Severino. Un gigante, come lo ha definito Massimo Cacciari, che ha trascorso la maggior parte della sua vita nei più prestigiosi atenei italiani, dall’Università Cattolica di Roma alla Ca’ Foscari di Venezia. Il suo lavoro sull’essere ha avuto un’importanza enorme nel pensiero del Novecento pur se in aperto contrasto con la dottrina cristiana.
Una brillante carriera accademica
Il filosofo Emanuele Severino nacque a Brescia nel 1929. Nel 1950 si laureò a Pavia con una tesi dal titolo “Heidegger e la metafisica” e dall’anno seguente iniziò la sua carriera accademica con la libera docenza in filosofia teoretica. Nel 1962 divenne ordinario di Filosofia morale presso l’Università Cattolica di Milano e dal 1970 al 1989 fu ordinario di Filosofia teoretica presso l’Università di Venezia e direttore del Dipartimento di filosofia e teoria delle scienze. Fu un accademico dei Lincei e Cavaliere dei Gran Croce. Per anni scrisse per il “Corriere della sera”. Malato da circa sei mesi, ci ha lasciati lo scorso 17 gennaio ma per sua espressa volontà la notizia della sua morte è stata data tre giorni dopo.
Il filosofo Emanuele Severino e il suo pensiero
Il pensiero filosofico di Emanuele Severino ruota intorno a due illustri filosofi che sono Parmenide e Heidegger. Il filosofo tedesco, pilastro del pensiero novecentesco, aveva spinto come nessun altro la filosofia verso la produzione di domande, il porsi dei problemi più che verso la ricerca di risposte. Severino tenta dunque di “completare” questo lavoro, di trovare le risposte ai questiti lasciati in sospeso da Heidegger e lo fa ispirandosi a un altro grande personaggio della filosofia, stavolta più lontano nel tempo: Parmenide di Elea. Il filosofo greco affermava che i mutamenti del mondo erano effimeri contro la dominante natura dell’Essere.
Secondo Severino, il più grande errore dell’Occidente è stato quello di dimenticare l’insegnamento parmenideo e introdurre nel pensiero il concetto di divenire. Questo ha generato nell’uomo occidentale un sentimento di angoscia portando al dominio della ragione e della tecnica che viviamo ai giorni nostri. Eppure l’uomo ha bisogno dell’essere, dell’immutabile e quindi costruisce entità divine e costrutti trascendenti. La fede cristiana, dunque, appare come un semplice costrutto dell’uomo. Si capisce chiaramente che il pensiero di Severino è in forte contrasto con quello della Chiesa e nel 1969 la rottura tra i due pensieri fu definitiva. Tanto è vero che quell’anno il filosofo lasciò l’Università Cattolica per andare a insegnare a Venezia.
I libri del filosofo Emanuele Severino
La produzione saggistica di Severino è immensa e spazia da testi divulgativi della filosofia e manuali scolastici a volumi di altissimo valore scritti per gli addetti ai lavori: La struttura originaria del 1957, Le radici della violenza del 1979, Il parricidio mancato del 1985 solo per citarne alcuni. Il suo lavoro è stato molto stimato; Massimo Cacciari lo definì un gigante, l’unico filosofo che potesse contrapporsi a Heidegger.