Addio a Silvia Tortora, giornalista italiana che si è distinta negli anni per aver sostenuto una lunga e irrisolta battaglia nel nome di suo padre contro la malagiustizia italiana. Era figlia di Enzo Tortora che resta ancora negli annali giudiziari come l’emblema dei grossi problemi che la giustizia italiana ha e non da oggi. Fin da subito dopo l’arresto del papà non si era data pace per portare agli occhi di tutti quelle problematiche.
Ricordiamo tutti il calvario cui fu sottoposto Enzo Tortora. Il 17 giugno 1983, accusato da due pentiti di camorra, venne arrestato con un’operazione giudiziario-mediatica davvero sconcertante. Tenuto in reclusione preventiva per sette mesi fino a gennaio 1984 per associazione camorristica e traffico di droga.
Tutte le accuse contro di lui erano basate solo sulle congetture dei pentiti ma fu condannato, a seguito di una pervicace opera dei magistrati che ebbero in carico il suo procedimento, a ben 10 anni di carcere con una sentenza che ancora oggi lascia la giurisprudenza attonita e con grande piacere dalla procura dell’epoca.
Addio a Silvia Tortora e la vicenda giudiziaria di suo padre
Tortora non c’entrava assolutamente nulla. Prima la corte d’appello e poi la corte di cassazione, rispettivamente nel 1986 e 1987, lo assolsero in via definitiva. Ritornò a casa libero ma un anno dopo morì. A Enzo Tortora la giustizia italiana tolse la vita e sconvolse la sua famiglia e parte dell’opinione pubblica che fin dall’inizio cercò di essergli vicino.
Un solo movimento politico prese a cuore la sua sorte e lo sorresse fino alla fine: il partito radicale. Marco Pannella fece di Tortora un vessillo per la battaglia per la riforma della giustizia. Una riforma che affermasse la responsabilità della magistratura. Mai ha visto la luce e mai ha potuto essere realizzata bloccata dai vincoli e dai veti incrociati del potere giudiziario e politico.
Silvia era appena ventenne e si trovò a vivere quello che nessuno dovrebbe mai vivere: la crocifissione di un uomo per bene per mano di una giustizia cieca. Divenne giornalista, sulle orme paterne che in Rai si era occupato di sport (La domenica Sportiva e non solo) prima di divenire l’innovatore per eccellenza inventando e conducendo un programma cult come Portobello.
Addio a Silvia Tortora, le sue eperienze
Lavorò nella carta stampata ed in televisione con un altro mostro sacro del piccolo schermo quale era Giovanni Minoli. Eppure tutta la sua esistenza è stata da allora volta a cercare di capire, prima, e di spiegare dopo quanto era successo a suo padre senza mai trovare una risposta adeguata e plausibile come spesso ha avuto modo di affermare in suoi scritti ed interviste.
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Nel 1999 ha vinto il nastro d’argento al Festival di Taormina come “migliore soggetto cinematografico” con il film di Maurizio Zaccaro, Un uomo perbene.
Tortora definisce giustizia e sanità, in un parallelismo tutto dettato dalla realtà, come odierni lupanari. Un definizione forte eppure lucida. Per le sue “disavventure giudiziarie” nessuno pagherà mai e chi lo sprofondò senza un vero motivo valido in un pozzo senza fondo non è mai stato chiamato a rispondere del proprio operato.
Addio a Silvia Tortora, le sue battaglie
Silvia si è battuta con forza. Lo ha fatto con l’uso della penna che era lo strumento che meglio le si addiceva. Voleva che si potesse arrivare ad una riforma che eliminasse le storture nella giustizia italiana che avevano portato alla persecuzione del suo papà. Un uomo per bene, portato lontano dagli affetti e fuori dalla società civile.
Voleva una giustizia più giusta. Si è trovata a sbattere il grugno al muro, un muro fatto di potere difficile da scardinare e molto “resiliente” come si usa dire oggi.
Non ce l’ha fatta a penetrare quel muro. Per la sua opera di crepe ce ne sono tante e sono ormai sotto gli occhi anche di chi si ostina a non voler vedere. Il recupero della democrazia vera in Italia passa attraverso una riforma seria della giustizia, altro che manifestazioni no vax per la presunta libertà persa.
Quello del papà di Silvia è stato solo il caso manifesto ma ce ne sono tantissimi casi di giustizia amministrata male. E’ anche e soprattutto per opera di persone come Silvia che chiedono ancora e solo che in Italia si possa avere fiducia nella giustizia e non paura di essa che vale la pena di andare avanti.
Ciao Silvia!