Dobbiamo dire addio al reso gratuito per i nostri acquisti online per l’abbigliamento? La nuova politica commerciale ha già debuttato in diversi Paesi, in Italia forse arriverà a breve. Una scelta dettata non solo da esigenze commerciali ma anche ambientali. Come la mettiamo, però, con il diritto di recesso?
Acquisti online per l’abbigliamento: il boom degli ultimi anni
Non abbiamo bisogno di ricordare il boom registrato negli ultimi anni degli acquisti online. Il lockdown ha fatto la felicità dei compratori e la fortuna degli e-commerce. Coloro che si sono ritrovati con tempo e denaro in più per riprendere vecchi hobby, o fare quell’acquisto a lungo rimandato, hanno sperimentato la comodità di ordinare i propri oggetti del desiderio con pochi click e riceverli gratuitamente a casa propria.
Sdoganati anche gli articoli più difficili, come i capi di abbigliamento, che necessiterebbero di una prova. Per rendere più facili le operazioni molti e-commerce hanno inaugurato app per la prova abiti. In un secondo momento, l’opzione reso gratuito ha risolto ogni problema: si compra il capo desiderato e se la misura non corrisponde si restituisce senza alcun costo.
Il reso gratuito
Il reso gratuito è il cavallo di battaglia di tutti gli e-commerce, di abbigliamento e non solo. Pensato per fidelizzare il cliente, ha dato senza dubbio i suoi buoni frutti in termini di vendite. Sul lungo termine, però, si è rivelato un’arma a doppio taglio. L’opzione, infatti, è stata utilizzata fino a diventare la regola. Molti capi di abbigliamento sono acquistati in più taglie così da tenere per sé quello che veste meglio e restituire gli altri.
Rendere un articolo acquistato porta dei costi all’azienda che vanno dal ritiro a domicilio al ripristino dell’articolo per una nuova vendita, cosa che a volte comprende anche delle riparazioni. Se ogni acquisto, poi, comporta più viaggi, aumentano anche le emissioni di gas serra con un certo impatto sull’ambiente.
Così alcuni famosi brand internazionali hanno deciso di cambiare strategia. Nel Regno Unito, lo spagnolo Zara da un anno ha imposto il pagamento di 1,95 sterline per il reso di articoli acquistati online. Nessun pagamento è dovuto se il reso avviene in un negozio fisico.
Negli Stati Uniti Zara, Macy’s, Abercrombie & Fitch, J. Crew ed H&M hanno stabilito commissioni fino a 7 dollari per resi effettuati utilizzando i sistemi postali. Amazon prevede il pagamento di 1 dollaro per i resi effettuati tramite Ups, politica non attuata in Italia.
Nel nostro Paese, infatti, il ritiro a domicilio di articoli acquistati online presso Zara costa 4,95 euro, importo che viene scalato dal rimborso. Reso gratuito se effettuato presso i negozi fisici. H&M prevede, infine, il reso gratuito per i suoi membri mentre per gli altri è di 2,99 euro.
Reso gratuito e diritto di recesso: quali differenze?
Come si concilia l’imposizione di una tariffa sul reso con il diritto di recesso? Iniziamo col dire che il diritto di recesso è un diritto a tutela del consumatore previsto dal Codice del Consumo che riguarda tutti gli articoli acquistati in modalità online. La normativa europea prevede che l’articolo può essere restituito anche nel caso in cui l’acquirente ci abbia ripensato entro un certo limite di tempo.
Il reso, invece, è una politica aziendale. Non sottostando a nessuna normativa è discrezionale e non prevede tempi uguali per tutti. Ogni brand può decidere se applicarla o meno e stabilire in totale autonomia modalità e tempistiche.
In copertina foto di Hannes Edinger da Pixabay