Casa Testori dedica la mostra “À rebours” (conto alla rovescia) all’artista italiano, residente a Varsavia, Alex Urso (1987).
Un progetto site-specific pensato per la casa natale di Giovanni Testori, curato da Davide Dall’Ombra. Tra vetro, legno e collage, Urso dà vita a un grande omaggio agli artisti del Novecento e non solo: con ironia e poesia entra nella raffigurazione delle dinamiche dell’arte in senso ampio, dal riconoscimento personale alla consacrazione museale, alla riduzione a feticcio ad usum del pubblico, tipiche del mercato.
Urso si riappropria dell’arte del passato in un processo che ha qualcosa di delicato e carnivoro insieme. Usa i ritagli d’immagini dell’arte e della natura, avvicinandoli o sovrapponendoli su diversi piani, in una compenetrazione che punta alla valorizzazione reciproca.
Questa mostra è l’occasione per fare il punto sulla sua ricerca e presentare in Italia opere inedite attraverso un percorso articolato che illustriamo di seguito.
Una scala per Memling
L’opera di Alex Urso è installata in stretto dialogo con la Biblioteca d’Arte di Giovanni Testori. La grande libreria posta alla base della scala raccoglie le monografie degli artisti medioevali e moderni fino al Settecento. L’intervento di Urso fiorisce tra i volumi e s’inerpica lungo la salita al primo piano, rendendo omaggio al pittore tedesco Hans Memling (1430-1494) e al suo celebre Trittico di Danzica (1470 circa). Disposti tra i libri, nove diorami restituiscono la composizione: dal Cristo giudice alle anime salvate, purganti e dannate. In questi teatrini magici (Stations of the Cross, 2016) le immagini del Tritticoacquisiscono la terza dimensione grazie ad elementi apparentemente estranei. Nella serie lungo le scale (A study on The Last Judgment of Hans Memling, 2015/2016) la natura si fa matrigna e, sostituendosi alle fiamme, non rallenta i tormenti dei dannati, ma partecipa alle pene soggettive.
Tre stanze per una giungla
Giunti al primo piano, la mostra prosegue nelle cinque stanze della parte destra della casa. Attraversando il corridoio, le tre camere che si aprono a sinistra sono unite da un tema comune: Welcome to the Jungle, declinato dall’artista in altrettante opere, realizzate tra il 2016 e il 2018.
Nella prima stanza
Una serie di 15 box, diorami o teatrini magici, creano una linea continua lungo le pareti. Il visitatore è chiamato a immergersi in questi microcosmi realizzati unicamente con la carta. Il filo dei diorami è interrotto su una parete da uno dei quadri più importanti di Giovanni Testori (Crocifissione, 1949), inaspettatamente a suo agio, tra le opere di Urso, non solo perché ne condivide l’affollamento formale e l’antropomorfizzazione della natura, ma soprattutto perché anch’essa esito della metabolizzazione dei propri maestri, da Cézanne a Picasso.
Nella seconda stanza
Un dittico rappresenta il dialogo tra Urso e alcuni tra gli artisti più rilevanti della tradizione polacca. Si tratta di un omaggio personale da parte dell’autore ad alcune figure chiave della cultura locale, conosciute e studiate da Urso durante gli anni del suo soggiorno a Varsavia.
Nella terza stanza
Untitled (dalla serie Welcome to the Jungle), 2017. La serie comprende tre collages di dimensioni 40×60 cm ciascuno. I lavori mirano a rappresentare il sistema dell’arte come “giungla”, nel quale l’artista è chiamato a districarsi, con particolareattenzione al museo, quale tempio artistico che simboleggia tutta la fame e il desiderio di successo di un giovane autore. Nei tre collages sono rappresentati rispettivamente il Guggenheim di New York, la National Gallery di Londra e il Maxxi di Roma, immersi in uno scenario naturale. Tutt’intorno sono presenti ritagli di persone estratte da foto raffiguranti il pubblico di un museo. L’idea è quella di riflettere con ironia sul ruolo dell’istituzione museale, sul suo fascino e sulla sua potenza seduttiva.
La camera (privata) di Testori
Attraversato il corridoio, si entra nella stanza di Testori da ragazzo. Una camera destinata a contenere le opere che la madre non avrebbe accettato in giro per la casa, già tappezzata di dipinti frutto degli studi e del collezionismo di Testori. I nudi accademici da Testori attribuiti a Géricault e Courbet, documentati da una serie di scatti di Giacomo Pozzi Bellini, hanno ispirato l’opera di Andrea Mastrovito (1978) realizzata esclusivamente scolpendo il muro e facendo emergere gli strati di intonaco e pittura accumulati negli anni.
Non poteva esserci collocazione più pertinente per il lavoro di Alex Urso dal titolo “Musée de l’Oubli – Eight collages by Monsieur G.” (2014), nato dal ritrovamento in un mercatino di Varsavia di un nucleo di collages, firmati e datati 1979 da un misterioso artista francese, restaurate e incorniciate dall’artista.
L’ultimo avvertimento
Nell’ultima stanza, conclude la mostra un’opera inedita (Don’t believe the hype, 2018), articolata in quattro diorami, posti sulle basi e alle pareti. Questa volta i piani prospettici sono affidati a lastre di vetro, sovrapposte e scorrevoli. Ciascun teatrino è dedicato a un’opera di celebri artisti contemporanei (Wim Delvoy, Damien Hirst, Maurizio Cattelan e Katarzyna Kozera), esemplificativa non solo della loro poetica personale, ma anche del contesto sociale e culturale. Urso ci mette in guardia, non dalle contaminazioni, quanto dall’accontentarsi di un mondo bidimensionale e di un approccio timido all’arte. Occorre sporcarsi le mani.