Dopo tre formaggi sardi, la cipolla rossa piatta di Pedaso, comune di tremila abitanti in provincia di Fermo, nelle Marche, è un nuovo Presidio Slow Food. Il riconoscimento celebra un lavoro avviato otto anni fa, nel 2012: «Abbiamo cominciato con l’intenzione di far conoscere a chi abita in zona questo prodotto che rappresenta un pezzetto di memoria del nostro territorio» racconta Paolo Concetti, fiduciario della Condotta Slow Food del Fermano, che a quei tempi ricopriva il ruolo di vicesindaco di Pedaso.
La cipolla, la cui coltivazione è stata fiorente per tutta la prima metà del Novecento, era praticamente scomparsa: colpa della guerra, del progressivo abbandono delle campagne, del cambio di abitudini. Era rimasto un solo agricoltore, Arturo Ferretti, a conservarne il seme, affidato poi anche all’ASSAM, l’Agenzia per i servizi nel settore agroalimentare delle Marche, affinché lo custodisse nella banca del seme di Monsampolo.
Per tutelare la biodiversità, però, occorre soprattutto che le sementi rinascano nella terra: un lavoro che, nel caso della cipolla di Pedaso, viene oggi fatto da cinque diverse aziende agricole, composte perlopiù di giovani produttori.
Cipolla rossa di Pedaso: un culto che si tramanda di generazione in generazione
«La trasmissione della semente nelle mani dei ragazzi che oggi producono la cipolla rossa piatta è stata fondamentale, quasi un simbolico passaggio di consegne da una generazione a quella successiva» prosegue Concetti. Sono aziende che naturalmente non coltivano soltanto la cipolla, ma che hanno acquisito la consapevolezza del suo valore: «Hanno compreso che dietro a ogni prodotto c’è una storia, e da questo punto di vista essere entrati nel mondo di Slow Food è stato fondamentale. Oggi questi produttori si riconoscono in una vera comunità e si sentono parte di qualcosa di più grande».
Uno dei produttori si chiama Yuri Marchionni e, insieme alla moglie Isabella Cocci, gestisce l’azienda agricola RasoTerra: «Appassionarci alla cipolla rossa di Pedaso è stato immediato. Siamo partiti da una manciata di semi e, un po’ per volta, li abbiamo riprodotti. La nostra missione? Innanzitutto restituire la cipolla ai pedasini, e solo in un secondo momento farne una vera produzione».
Lo sforzo sta dando i suoi frutti: gli abitanti di Pedaso – non a caso in passato spesso soprannominati ‘cipollari’ – hanno accolto con entusiasmo le iniziative promosse da Slow Food e dalle amministrazioni comunali che si sono succedute. «A ogni cena, evento o degustazione che abbiamo organizzato è nata maggiore consapevolezza tra i cittadini – prosegue Concetti -. È bellissimo vederli riconoscersi in un prodotto, comprendere che quella cipolla che tengono tra le mani è simile in tutto e per tutto a quelle che i propri nonni o i propri genitori mangiavano o addirittura coltivavano».
Una cipolla dolce… e che fa piangere eccome!
I cinque produttori del Presidio Slow Food hanno adottato un rigoroso disciplinare di produzione che prevede il ricorso a pratiche sostenibili, come rotazioni triennali, l’utilizzo esclusivo della concimazione organica e il divieto di diserbo. Naturalmente si sono impegnati anche a rispettare il delicato processo di riproduzione della semente: come funziona?
Le cipolle madri vengono poste a dimora, nel terreno, tra settembre e ottobre e lì ci rimangono fino a quando i bulbi raggiungono un’altezza di circa un metro e fioriscono. A quel punto, normalmente tra luglio e agosto, si procede a far essiccare i fiori, da cui si ricavano i semi. «La semina può avvenire in autunno, e in tal caso a maggio si coglierà una sorta di cipollotto precoce, oppure a gennaio, e in questo caso occorre attendere fino ad agosto» spiega Marchionni. In ogni caso, però, «da metà ottobre ai primi di maggio la cipolla non è disponibile al consumo, perché quella estiva è carica di acqua e non si conserva a lungo».
Anche per questo motivo, alcuni produttori hanno cominciato a trasformare la cipolla di Pedaso, facendone confetture o conservandole in agrodolce. Altri ancora ne sfruttano le qualità per farne prodotti di cosmesi. E sulla leggenda secondo cui la cipolla di Pedaso non faccia ‘piangere’ al momento di sbucciarla, Marchionni è chiaro: «Vi assicuro che, quando ne sbuccio qualche quintale, lacrimo eccome! Però è così dolce, e soprattutto digeribile, che vale la pena mangiarla».
La cipolla rossa piatta di Pedaso viene coltivata nel Comune di Pedaso e in alcuni territori limitrofi nei Comuni di Altidona, Campofilone, Lapedona e Moresco (provincia di Fermo).
L’avvio del Presidio Slow Food della cipolla rossa piatta di Pedaso è stato sostenuto dal Comune di Pedaso e dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.