Claudio Parmiggiani (Luzzara, 1943), uno tra i maggiori protagonisti dell’arte contemporanea internazionale, dopo la prima personale in un museo americano al Frist Art Museum di Nashville, presenta un gruppo di sue opere in un progetto appositamente concepito alla Galleria Poggiali di Firenze con inaugurazione venerdì 24 maggio 2019, per quella che è la sua prima vera personale a Firenze. Undici opere installate nei due spazi di via della Scala e di via Benedetta, la maggior parte delle quali realizzate per questa mostra, unitamente a lavori meno recenti: un cuore fuso in ghisa serrato da due tubi in acciaio poggiati sulla Commedia di Dante, un calco in cera di una statua antica, uno strumento musicale come l’arpa con le farfalle, una campana di bronzo appesa come un impiccato, una biblioteca di cenere.
Negli spazi di Via Benedetta, presentata per la prima volta dopo la Biennale di Venezia del 2015, solitaria come un dardo lanciato verso la parete di fondo e il soffitto, si trova la gigantesca àncora aggrappata con tutta la sua forza dopo aver infranto una parete di cristalli.
Una mostra di impianto museale che si snoda come un discorso poetico ora drammatico, ora elegiaco e lirico ad un tempo. Saranno, dunque, presentate alcune opere, note come ‘sculture d’ombra’ oDelocazioni. Una grande biblioteca, una clessidra ed una impronta di quadro rimosso dalla parete, immagini ottenute con un procedimento del tutto personale iniziato a partire dal 1970, quando Parmiggiani presenta nella Galleria civica di Modena una serie di opere create con il depositarsi della fuliggine tra la superficie del muro e l’oggetto stesso.
Jean Clair, parlando delle opere di Parmiggiani realizzate con questo “magico” e “povero” procedimento, ha fatto riferimento alla tradizione cristiana dell’epigraphé sottolineando la differenza formale e sostanziale tra il tratto (graphé) che circoscrive e il tracciato che apre sull’illimitato. L’immagine nata sulla tela non è disegnata – non si tratta di sfumato – e neppure dipinta con velature, ma piuttosto soffiata ed evaporata per trasformarsi in ombra, in “scultura d’ombra”.
Con opere fatte di cenere, con i suoi gessi e con le sue lampade che ancora illuminano a lume spento come una stella morta, Parmiggiani prende di petto l’assenza – l’unica manifestazione possibile della cosa perduta o della memoria seppellita è questa – e la sottrae al nulla, la strappa alla dissolvenza, alla dissipazione, rendendola soggetto e sostanza di una nuova iconica presenza: perché l’assenza è il cuore dell’essere. “E se la mancanza a essere fosse il senso più profondo dell’essere? – scrive Massimo Recalcati in uno straordinario saggio dedicato a Parmiggiani – Ecco l’interrogativo aperto dall’opera di Parmiggiani.
Per Parmiggiani: “Un’opera deve essere come un pugno nello stomaco. Silenziosa ma dura, dura ma silenziosa, come un fuoco sotto la cenere”. Come la grande campana ‘impiccata’ a una trave della galleria che celebra in silenzio tutto il dolore del mondo e tutta la speranza della terra, che chiama a raccolta come in un giorno lieto o per un imminente pericolo. Come il calco in cera di una figura femminile a mezzo busto al quale è stata accostata una lampada ad olio che di quel volto malinconicamente riverso da un’altra parte ha iniziato a scioglierne le fattezze, come fa la fiamma con la falena, il raggio di sole con la neve primaverile, il dolore più insopportabile che impietrisce ogni desiderio di vita. Rinunciando alla tradizione visiva, Parmiggiani ritrova nella realtà delle cose il senso misterioso della bellezza dell’arte, quella grazia che trasfigura le cose stesse riscattandole dal nulla. Le ‘cose’ di Parmiggiani (una campana, una lampada, resti e frammenti del mondo vissuto) abitano poeticamente il linguaggio dell’arte e si danno alla nostra percezione come poesie da vedere con il cuore negli occhi, sono presenze iconiche da ascoltare con il cuore più che con la mente.
Ed è con un cuore sorretto tra due elementi metallici che inizia il percorso espositivo, una scultura che attraversando lo sguardo parla direttamente al cuore. L’opera che abbiamo di fronte, appena varcata la soglia della galleria è un calco del cuore, come quelli che usano gli studenti di medicina e chirurgia, fuso in ghisa e costretto tra due elementi metallici installati tra la Divina Commedia a pavimento e il soffitto della galleria. L’oggetto è posto ad altezza dello sguardo e al centro dello spazio. Parmiggiani ha scelto di far coincidere la presenza dell’oggetto reale con il punto di fuga della prospettiva classica, in linea con gli occhi.
Ha scritto Nietzche “Non stiamo forse navigando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte? Sempre più notte?” Il modernismo ha scelto la tenebra, si è compiaciuto di navigare nell’infinito convinto della propria disumana potenza e onniscienza
Possiamo ancora definirla spiritualità poetica di quest’artista? Possiamo pensarlo ancora in contatto con il sacro, con il Dio tra noi? Affidiamoci a una sua dichiarazione: “Lo spirituale che alcuni intravedono nel mio lavoro lo chiamerei semplicemente una convinzione che fa parte di una visione; un misticismo senza fede. Non penso a un’arte religiosa ma ad una religiosità dell’arte; una religiosità di cui mi sembra si sia smarrito completamente il senso”.
Chiude la mostra Senza Titolo, un gesso di una testa classica con accanto una sveglia, realmente funzionante, poggiata su di un libro a scandire il battito delle ore; anch’essa realizzata appositamente per questa mostra.