(Adnkronos) – 50 anni fa, il 17 dicembre 1973, la strage di Fiumicino ad opera di un commando di cinque terroristi palestinesi. 32 le persone che hanno perso la vita nell’attentato mentre altre 15 sono rimaste ferite. Tra le vittime sei sono italiane, la famiglia De Angelis, con Giuliano, Emma e la figlioletta Monica, Raffaele Narciso, Domenico Ippoliti e il finanziere Antonio Zara, ucciso mentre cerca di opporre resistenza ai terroristi. Giovanissimo finanziere in servizio nell’aeroporto, Zara prova ad affrontare i terroristi in una reazione disperata ma viene assassinato con un colpo alle spalle. “La strage di Fiumicino non viene mai ricordata, ciò ha creato nella nostra famiglia disagio e sconforto”, afferma all’Adnkronos Angelo Zara, fratello di Antonio, raccontando la tragedia che “stravolse” la vita della sua famiglia lasciando tuttora “molti interrogativi irrisolti”. “Erano le 12.51 del 17 dicembre 1973 – ricorda – Un’edizione straordinaria del telegiornale diede l’annuncio della strage che si stava consumando all’aeroporto di Fiumicino.
Alle 15 il comandante provinciale della Guardia di Finanza ci portò la notizia, ricordo ancora il tragitto fino a Roma quando ancora pensavamo che mio fratello fosse solo ferito”. Angelo all’epoca aveva 25 anni, cinque in più del fratello minore Antonio, e ha ancora impresso nella mente il momento in cui la salma del giovane finanziere fece rientro a San Felice del Molise, paese della provincia di Campobasso del quale era originario: “La piccola piazza era gremita di gente, ma non si sentiva volare una mosca. Risuonava solo l’urlo di mia mamma che chiamava il figlio”. L’attentato, ricorda Angelo Zara, ha cambiato tutto: “Io e la mia famiglia abbiamo passato periodi molto brutti. Sconforto e dolore hanno preso il sopravvento sulla calma e sulla serenità che regnavano prima”. “I primi tempi pensavamo solo al nostro dolore, poi usciti dal tunnel ci siamo posti delle domande: perché quella strage? Perché negli anni non se ne è mai parlato? Tutti punti interrogativi tuttora irrisolti”. Il fratello del finanziere Zara assicura che in questi 50 anni “la Guardia di Finanza ci è stata sempre vicina, ci ha sempre supportato e a questa istituzione va tutta la mia ammirazione e il mio ringraziamento”.
Quanto alle altre istituzioni Angelo Zara ha qualche dubbio: “Non lo so, io penso che una medaglia d’oro al valore militare (riconoscimento di cui fu insignito il finanziere ucciso ndr) dovrebbe essere ricordata. Le altre medaglie d’oro al valore militare vengono ricordate mentre mio fratello no”. A ciò si aggiunge la mancanza di una verità giudiziaria: “La magistratura quando accadono queste cose apre un fascicolo, svolge indagini – aggiunge il fratello del finanziere eroe – Noi non siamo mai stati informati né sull’apertura di un fascicolo né di un’eventuale chiusura”. L’attentato di Fiumicino del 1973 sembra “un tabù – conclude – Speriamo un giorno di saperne di più”. Intanto, venerdì 15 dicembre alle ore 10, sarà presentato alla Fondazione Willy Brandt a Roma il libro “Lo sparatore sono io – Prigioniero dello Stato per aver difeso lo Stato”, di Antonio Campanile, Nuccio Ferraro e Francesco Di Bartolomei. Il volume racconta la strage anche attraverso il racconto di Antonio Campanile che, all’epoca poliziotto in servizio allo scalo romano, si oppose ai fedayin sparando alcuni colpi d’arma da fuoco da un terrazzo. Un gesto, accusa, caduto nell’oblio e in seguito al quale fu addirittura trattenuto in caserma sei giorni. “Il 90% degli italiani non conosce l’attentato di Fiumicino del 1973. Si parla di tutte le stragi, mai di questa triste ricorrenza. Da qui nasce la mia indignazione e mi domando il perché di tutto questo: non si ricorda un evento del genere in cui sono morte 32 persone tra le quali il finanziere Antonio Zara”, sottolinea l’ex poliziotto. Campanile ha ancora impressi negli occhi quei momenti: “Ero in servizio al controllo passaporti quando ho sentito alle spalle un forte boato: raffiche di mitra all’improvviso, gente che scappava, così sono andato all’ufficio dove stava il maresciallo, comandante pro tempore di quel giorno, e ho preso un’arma lunga con 3-4 caricatori e sono scappato sul terrazzo insieme ad altri poliziotti”. Dall’alto Campanile racconta di aver visto il finanziere Zara, “mio coetaneo, che veniva strattonato” dai terroristi e poi “dal portellone dell’aereo si è affacciato un fedayn che ha iniziato a sparare, mi ha visto sul terrazzo e ha iniziato a spararmi anche addosso. Ho visto Zara cadere (sotto i colpi sparati alle spalle ndr) e non ci ho visto più, ho sparato e il terrorista è scappato nell’aereo”, continua. “Quando sono sceso dal maresciallo gli dissi che avevo sparato e lui mi chiese di recuperare i bossoli – prosegue Campanile – Poi mi è stato chiesto chi mi aveva dato l’ordine di sparare. Io risposi che era stata una difesa personale, avevo addirittura proposto di bloccare l’aereo invece mi venne rifiutato”.
Nei giorni successivi, si racconta nel libro, Campanile è stato trattenuto in caserma sulla base di un provvedimento relativo alla possibilità di fuga di informazioni compromettenti. “Il settimo giorno – sottolinea – mi mandarono a casa con una licenza breve, poi al rientro mi sono visto trasferire per tre mesi dall’aeroporto internazionale a quello nazionale, ma non ho mai capito il motivo”. Da allora restano tante le domande alle quali Campanile non è riuscito a dare risposta: “Mi domando come sia potuta accadere una strage del genere” e perché la sensazione è che la sua vicenda sia stata cancellata: “Anni fa andai all’archivio di Stato e non ho trovato documenti sul mio conto, è come se non fossi mai esistito”. Ma lui, assicura, non scorda ciò che è accaduto: “Io non ho mai dimenticato l’odore di carne bruciata di quel giorno (i morti nell’esplosione degli ordigni ndr) e ancora oggi vedo davanti a me la smorfia di Antonio Zara assassinato con un colpo nella schiena – conclude l’ex poliziotto – Domenica 17 dicembre credo che andrò all’aeroporto di Fiumicino dove ci sta una targa dedicata proprio a Zara”. Secondo la studiosa Giordana Terracina “in tutti questi anni c’è stato un silenzio istituzionale sull’attentato di Fiumicino del ’73”. Ora, passati i 50 anni, “decadono i vincoli legati alla segretezza della documentazione e si può arrivare a una declassificazione completa della documentazione”, continua la ricercatrice spiegando le ragioni, secondo lei, alla base dell’oblio calato sulla strage del ’73. “La strage di Fiumicino è l’attentato collegato di più al Lodo Moro – afferma la ricercatrice – C’è chi dice che il Lodo Moro sia nato poco prima dell’attentato e c’è chi dice, invece, che fu il fattore scatenante che convinse il governo italiano a stipulare il patto con le associazioni terroristiche palestinesi”.
L’attentato del ’73, secondo la studiosa, è “un po’ il simbolo del Lodo Moro e delle motivazioni che hanno portato a concludere l’accordo: immediatamente prima, nel ’72, in Europa ci fu l’attentato di Monaco, che come è stato accertato, fu all’origine del ‘lodo tedesco’. Sono grossi eventi da cui sono scaturiti gli accordi dei vari governi europei, la cui importanza è stato il riconoscimento di Arafat come personaggio politico, la sua legittimazione internazionale”. “Il ’73 dal mio punto di vista rappresenta lo spartiacque tra il terrorismo arabo e quello di matrice puramente palestinese. Nel ’73, con la guerra del Kippur, si conclude il ciclo delle guerre arabe contro Israele: poi ci saranno gli attentati e l’Intifada ma non saranno più guerre di Stato – prosegue – I paesi arabi, a mio avviso, riconoscono che non è pensabile arrivare alla distruzione di Israele attraverso una guerra di Stato. C’è allora un cambio di strategia e nasce il terrorismo di matrice palestinese, finanziato sì dagli stati arabi, ma diverso da una guerra di Stati. Questo è significativo, secondo me, anche per la leadership di Arafat perché lo costringe a costruirsi una figura di mediatore e di uomo politico”. “In tutto questo – continua Terracina – si inserisce l’attentato di Fiumicino e la nascita del Lodo Moro che sigla il riconoscimento politico di Arafat”. Da ricordare anche, conclude la studiosa, che proprio quel 17 dicembre 1973, giorno della strage, si stava celebrando l’udienza “per il gruppo di terroristi arrestati a Ostia e trovati con i missili Strela”. —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)