E’ un mondo pericoloso racchiuso in tre numeri lapidari, 4 5 6, titolo dello spettacolo scritto e diretto da Mattia Torre, tra gli autori e registi italiani più apprezzati dopo Migliore e Qui e Ora, in scena al Teatro Nuovo di Napoli.
Presentata da Marche Teatro, Nutrimenti Terrestri, Walsh, la pièce, da cui sono tratti l’omonimo sequel televisivo (trasmesso su La7 in “The show must go off” di Serena Dandini) e il libro “4 5 6 – Morte alla famiglia” (edito da Dalai), vede protagonisti in scena Massimo De Lorenzo, Cristina Pellegrino, Carlo De Ruggieri, affiancati da Michele Nani.
Mattia Torre mette in scena la potente arma della parola, attraverso l’invenzione di un nuovo dialetto, una commistione di campano, salentino, siciliano e latino maccheronico, che restituisce un teatro fatto di comicità viva, con personaggi ironici e tragici, freddi e nevrotici, ognuno con la propria psicotica ossessione.
Le deformazioni della lingua danno vita a infiniti siparietti tragicomici e battibecchi di un nucleo familiare ormai deteriorato, in un Sud senza nome e geografia, uno spazio senza luogo e connotazione temporale, scenograficamente delimitato.
La cucina dalla tavola imbandita, infatti, è una triste natura morta, segno della cupa atmosfera che aleggia nella casa sperduta in una valle. Un cucù scandisce il tempo che passa, mentre in pentola bolle, da ben quattro anni, il “sugo perpetuo” della nonna, ormai defunta.
La famiglia, proprio quella del Sud, istituzione caposaldo della società, qui è degenerata nel cancro di un barbaro conservatorismo, incapace della più timida apertura verso l’esterno.
Famiglia del sud (padre, madre e figlio), geograficamente e linguisticamente inesistente, che esprime un miscuglio grezzo e incattivito dei vari dialetti meridionali, di composizione moderna, ma dagli arcaici valori.
Protagonisti di una commedia amara, i personaggi conducono un’esistenza piatta e senza futuro in una valle sferzata dai venti. Nonostante l’apparente solidarietà, per un oscuro obiettivo comune, sono disuniti e ostili, concentrati sulle proprie ossessioni e incapaci di ascoltarsi.
Non c’è amore o altruismo tra loro, ma solo la sopravvivenza e la lotta per i propri spazi. Sono tre animali braccati, divisi dalle più tradizionali dinamiche familiari, tragici esponenti di un’umanità a perdere che tocca il fondo, fino a divenire tragicomica in quella surreale violenza.