(Adnkronos) – Il 2024 sarà l’anno con più elezioni di sempre. Settantasei Paesi, che rappresentano all’incirca il 60% del pil a livello globale e per una popolazione totale di oltre 2 miliardi di persone, porteranno i loro cittadini alle urne.
E anche se alcune di queste elezioni sono piuttosto scontate, come l’attesa, nuova vittoria di Vladimir Putin al primo turno delle elezioni presidenziali russe del prossimo marzo, altre, invece, si preannunciano incerte e quindi ancora più decisive: a partire dal prossimo 13 gennaio, quando Cina e Stati Uniti saranno spettatori interessati delle elezioni presidenziali taiwanesi, dove una vittoria del campo “pro-Pechino” potrebbe clamorosamente cambiare lo scenario sullo Stretto.
C’è attesa anche per l’esito delle elezioni europee che si svolgeranno a giugno: circa 400 milioni di elettori nei 27 Stati membri sono chiamati infatti alle urne per eleggere il nuovo Parlamento europeo. Il 2024, poi, si chiuderà ‘col botto’: il 6 novembre si vota negli Stati Uniti per quello che a oggi si preannuncia come un nuovo faccia a faccia tra Joe Biden e Donald Trump.
Prima tappa dell'”anno più elettorale di sempre” – si voterà infatti anche in Iran, Portogallo, India e Regno Unito per citare solo le elezioni più attese – sarà Taiwan, l’isola che la Cina (ma anche l’Occidente) non riconosce come indipendente ma che ogni 4 anni tiene elezioni democratiche per eleggere la propria presidenza.
2024
Il 13 gennaio, il “campo verde” del Partito Democratico Progressista (Dpp) proverà a prolungare ulteriormente un dominio politico che perdura dal 2016, anno in cui l’attuale presidentessa uscente Tsai Ing-wen scosse gli equilibri nello Stretto sconfiggendo il “campo blu” pro-Pechino del Partito Nazionalista (Kmt).
Il nuovo faccia a faccia si preannuncia più equilibrato dei precedenti: sebbene oltre il 60% della popolazione continui a definirsi “taiwanese” a fronte del solo 3% di “cinesi”, i rallentamenti economici degli ultimi anni di governo Tsai hanno favorito un ritorno del Kmt, il cui programma è da molti, soprattutto i cosiddetti “colletti bianchi”, percepito come più razionale e sostenibile sul piano economico.
Per il Dpp, il candidato presidente si chiama Lai Ching-te, già vice di Tsai dal 2020 e inviso a Pechino per le sue posizioni ancora più rigide rispetto alla presidenza uscente. I Nazionalisti rispondono con Hou You-Ih, salito alla ribalta da sindaco di Nuova Taipei, e che ha presentato il voto del 13 come una “scelta tra guerra e pace”.
Tuttavia, le possibilità di un cambio della guardia alla presidenza della “Repubblica di Cina”, hanno visto un brusco rallentamento a metà novembre scorso, quando il Kmt non è riuscito a concordarsi con i centristi del “Partito del Popolo Taiwanese” (Tpp) per una candidatura congiunta in chiave anti-Dpp.
Nonostante l’indubbio “tifo” da parte di Pechino, per i sondaggi il “campo blu” parte ancora piuttosto indietro rispetto al campo verde, che gode di grande sostegno da parte della quasi totalità dei giovani taiwanesi e ha ottimi rapporti con gli Stati Uniti.
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