No, tranquilli non abbiamo nessuna intenzione di mettere giù il solito polpettone sul 1 maggio, il suo significato storico, il lavoro e i lavoratori e sul senso della festa dei lavoratori oggi.
Già negli scorsi anni abbiamo assistito ad un progressivo svuotamento di quelle feste (25 aprile, 1 maggio appunto) che per le generazioni immediatamente passate, tranne che per la presente, sono stati punti di riferimento storici e culturali cui rifarsi nella propria vita.
Oggi tutto è social si sa (ma non sociale, attenzione) e queste festività – vuoi anche perchè scarsamente assoggettabili alle leggi del mercato – non esercitano appeal e sono poco cool per i nostri giovani.
Il culmine massimo nell’immaginario collettivo rimane il Concertone che, figlio dei tempi si è pur esso scisso in due tronconi con due esplicitazioni una a Roma e l’altra a Taranto. Non a caso.
Questo 1 maggio, però, cade in uno dei momenti più tristi – forse il più triste – per la democrazia italiana. Un malinteso e rampantissimo senso di rinnovamento ha portato l’attuale governo ad incamminarsi verso il varo di una nuova legge elettorale che, con ogni probabilità, dà il colpo di grazia al residuo di parvenza democratica della vita nel nostro Paese.
E’ sotto gli occhi di tutti l’iter scelto da Renzi e la sua compagine di governo per procedere ad un passo così importante per noi che veniamo dritti dritti da ‘mattarellum’ e ‘porcellum’ vari; ma tant’è e il Rottamatore ha deciso che si va avanti a colpi di fiducia e buonanotte al secchio.
Premettendo che, questo, come i precedenti due governi sono compagini non legittimate da alcun voto, sembra che questa novella classe politica abbia così preso in simpatia il non-voto da eleggerlo a sistema. Sicchè, a Italicum promulgato, per il solito arzigogolato sistema tutto partorito da contorte menti italiche, a conti fatti le elezioni, se si faranno, non faranno altro che sancire “i nominati” dai partiti e – udite, udite – nemmeno di tutti i partiti ma solo di quelli più forti in omaggio ad un bipolarismo-bipartitismo di matrice pseudo-angosassone che poco c’entra con la nostra tradizione giurica ma soprattutto sociale.
La premessa, per i lavoratori, è stato il Job Act che, nella solita pantomima governativa, è stato venduto come la panacea di tutti i mali e come l’elisir che porterà la malconcia economia italiana a rialzare la schiena e rimettersi a corre e produrre PIL su PIL. Quello stesso Job Act che ha cancellato di fatto art. 18 e tutti i diritti dei lavoratori immolati sull’altare dell’incremento del capitalismo più sfrenato come medico della stessa pandemia (crisi) che ha esso stesso generato.
Eppure, bisogna essere sempre più proiettati verso la Germania e non verso la Grecia ci si dice, perchè il bubbone nero del default finanziario potrebbe scuotere le tasche (non certo le coscienze) di tutti. Quindi, cari lavoratori – o meglio quelli che ancora uno straccio di lavoro lo hanno – zitti e pedalare e risparmiate il fiato che vi servirà per pedalare ancora e ancora.
1 Maggio, ormai lo possiamo affermare senza tema di smentita, non più festa dei lavoratori ma occasione per testare la stagione turistica, per esempio, con negozi aperti in ogni città e ogni ben di dio che ruoti intorno all’offerta turistica stessa.
Altro che lavoratori a riposo per festeggiare un’insulsa festività.
Zero lavoro, zero prospettive, zero diritti, una carta costituzionale calpestata e vilipesa ogni giorno, l’insulto costante della tracotanza di una classe politica imbelle che pensa solo alla preservazione di se stessa come specie protetta, l’ingrassamento di una casta burocratica che blocca e soffoca ogni attività, una pressione fiscale inverosimile.
Questa l’Italia in questo 1 maggio.
Oggi è anche la giornata d’inaugurazione dell’EXPO, forse, non tutto ma si aprirà. Camouflage!
Va bene, fermiamoci, un guaio alla volta basta.