I soldi, contrariamente a quanto si pensi, sono da sempre una ossessione per gli scrittori, in particolare sono stati il pensiero centrale dei romanzi dell’Otto-Novecento, spesso autobiografici, dove ci troviamo temi quale economia, denaro, debiti, condimento per storie di giochi d’azzardo che nella maggior parte dei casi finiscono nel peggiore dei modi. La bramosia di denaro ha colpito, tra gli altri, anche Foscolo, Poe, Kerouac, Baudelaire, Balzac, Hugo: chi per la ricerca ossessiva di possederne quanto più possibile, chi per le ristrettezze economiche. Infine, gli autori ossessionati dai debiti (Dostoevskij, Balzac, Baudelaire), tanto da farne l’oggetto di alcune loro opere.
Si può dire che neanche la letteratura sia stata immune dal morbo del denaro, e i suoi rappresentanti più grandi hanno avuto con esso un rapporto morboso che spesso si è materializzato nel gioco d’azzardo. Tracce di questo rapporto si possono riscontrare nelle loro opere, invase dal demone del gioco: Gioco all’alba di Schnitzler (1927); La dama di picche di Puškin (1834); Il circolo di Pcwick di Dickens (1836); Il giocatore di Dostoevskij (1866); Radiosa aurora di London (1910); Ventiquattro ore nella vita di una donna di Zweig (1927); La variante di Lüneburg di Maurensig (1993) e altri, limitandoci ai romanzi stranieri.
Nelle Illusioni perdute di Balzac, la trama narra l’ascesa e la caduta di un giovane letterato provinciale, Lucien Chardon, che per molti impersona lo stesso Balzac: una volta arrivato a Parigi, s’indebita per mantenere un tenore di vita alto, debiti che vengono saldati dalla sua attività letteraria, sempre più avida verso il denaro, il guadagno. Anche il romanzo La pelle di zigrino (1831) parla di casinò e roulette: «Questi intanto andò dritto al tavolo: restando in piedi e senza far calcoli, gettò sul tappeto una moneta d’oro che teneva in mano e che rotolò sul nero; poi, spirito coraggioso che ha in odio ogni cavillosa incertezza, lanciò verso il tailleur uno sguardo turbolento e calmo a un tempo. L’interesse per quel colpo era tale che nessuno dei vecchi volle puntare; ma l’italiano, col fanatismo della passione, non si lasciò sfuggire quella che gli sembrò una bella idea e il suo mucchio d’oro lo puntò contro la giocata dello sconosciuto. Il banquier si dimenticò di dire quelle frasi che, alla lunga, si sono trasformate in un grido rauco e inintelligibile: “Faites les jeux!” – “Le jeu est fait!” – “Rien ne va plus”. Il tailleur dispose le carte, e sembrò augurare buona fortuna al nuovo venuto, indifferente com’era a che perdessero o vincessero gli impresari di quei cupi piaceri» (trad. di C. Ortesta, Garzanti, 2009, p. 21).
Lo scrittore russo Dostoevskij (l’autore di Delitto e castigo) era un incallito giocatore di casinò, in particolare quelli della città tedesca di Baden-Baden, dove prosciugò tutto il suo non ricco patrimonio economico. Anche il suo contemporaneo e connazionale scrittore Turgenev (autore di Padri e figli, 1862, considerato uno dei capolavori della narrativa del XIX secolo), membro di un’antica e agiata famiglia, ovviamente più ricco economicamente rispetto a Dostoevskij, al quale spesso, dopo aver già salvato Tolstoj dalla bancarotta per gioco d’azzardo, prestava denaro non sempre restituito, amava in modo particolare farsi “spennare” dalla roulette, un’attrazione irrinunciabile. La “passione” di Dostoevskij per il gioco la troviamo ne Il giocatore, la storia di Aleksej Ivànovic (anche in questo caso si tratta di un alter ego), precettore presso una famiglia benestante, che pur consapevole che il gioco gli stava facendo conoscere tutte le bruttezze della vita, perse tutto in una fantasiosa città tedesca, Roulettenburg.
Per recuperare qualche somma economica, ovviamente da spendere alla roulette, Il giocatore fu scritto per necessità in ventotto giorni, imposto dall’editore Stellovskij (lo stesso di Turgenev) e per rispettare un contratto firmato quasi sotto ricatto. Se non avesse rispettato il contratto l’editore avrebbe avuto il diritto di pubblicare tutte le sue opere senza compenso. E per consegnarlo prima dell’amico Turgenev (che aveva promesso all’editore la consegna di un romanzo entro il primo novembre 1866), anticipò i tempi consegnandolo cinque giorni prima. «Certo Dostoevskij conosceva bene l’ambiente del gioco e ne era attratto in modo irresistibile, tanto che era oberato dai debiti contratti proprio per poter continuare a giocare. Incalzato dai creditori a tal punto che, mentre scrive Delitto e castigo (che ha al centro l’omicidio di un’usuraia e della sua sorella, capitata per caso sulla scena del delitto perpetrato da Raskol’nikov, uno studente assillato dalla miseria), detta in un mese un altro romanzo, Il giocatore (1866), per far fronte alle incessanti richieste di saldare i propri debiti. Come il Raphaël balzachiano, Dostoevskij vede incarnarsi i debiti nelle misere suppellettili che gli sono rimaste; solo che per lui è realtà e non finzione letteraria. Personaggi letterari e scrittori sono accomunati dalla passione per il gioco, dai debiti e dai creditori. Per questi li descrivono in modo magistrale» (S. Teucci, La letteratura e il denaro. Percorso didattico, in «griseldaonline»), in una specie di Verismo d’oltralpe che come i personaggi verghiani sono catapultati nel mezzo di una scena dove la conservazione della “roba” e catastrofi varie ce li presentano avvizziti e poco raccomandabili.