Non è una notte buia e tempestosa bensì un terso e gelido mattino di dicembre ad accoglierci all’interno del carcere di Poggioreale dove siamo venute per assistere all’incontro di calcio che si disputerà tra due squadre di detenuti, di cui una formata da padri.
Attraversiamo, accompagnate dalle guardie carcerarie, una serie di vialetti costellati da blocchi di puro cemento organizzati nelle ben note celle a custodia dei detenuti. Appaiono decorosi ed intervallati da aiuole coltivate ad orto o vigna dagli stessi detenuti durante le ore di laboratorio, dalle finestre a sbarre pendono stendini con il bucato e mani anonime ci salutano. Per fortuna il sole mitiga l’aria da lazzaretto che la memoria richiama alla mente nostro malgrado, né vogliamo dimenticare le ragioni delle detenzioni.
Siamo finalmente sul campo ad attendere l’arrivo dei giocatori e dei loro parenti, dei figli soprattutto. L’incontro è stato voluto ed organizzato dall’Associazione Bambinisenzasbarre Onlus nata con l’intento di difendere i diritti dei bambini e curare le relazioni familiari durante la detenzione di uno o entrambi i genitori e con la collaborazione degli educatori interni, al carcere stesso, che seguono i detenuti.
Sono quasi centomila i bambini italiani che hanno un genitore in carcere e settimanalmente varcano i cancelli dei penitenziari per mantenere un legame affettivo col papà o la mamma detenuti, un legame fondamentale per la loro crescita e che nulla ha in comune col reato commesso dal genitore che il figlio continua ad amare al di là di ogni colpa.
I figli dei carcerati sono bambini che vivono con un “segreto”, una vergogna che li emargina dai giochi e dalle feste dei compagni di scuola, un’esclusione da contrastare, un peso che va alleggerito, “Una responsabilità sociale a cui tutti siamo chiamati a rispondere” come afferma Lia Sacerdote, presidente di Bambinisenzasbarre .
Il 30 giugno è stato inaugurato lo Spazio Giallo all’interno del carcere di Secondigliano a Napoli, un percorso di accoglienza creato per aiutare il bambino ad orientarsi e ad attenuare l’impatto con un ambiente potenzialmente traumatico. Il progetto è stato sostenuto dall’Associazione Enel Cuore, Fondazione Banco di Napoli e Fondazione Banca delle comunicazioni.
La rete di accoglienza è attiva in Lombardia, Emilia Romagna e Piemonte. Lo Spazio Giallo è il primo aperto al Sud e fa parte delle iniziative della Campagna Europea “Non un mio crimine, ma una mia condanna” il cui focus, quest’anno, è la richiesta, formulata dalle 21 associazioni europee di COPE (Children of Prisoners Europe), di portare la Carta italiana dei diritti dei figli dei detenuti in Europa. L’Italia è il primo paese che ha siglato questo protocollo, nel 2014.
Daniela Morante è la referente, per Bambinisenzasbarre, dello Spazio Giallo a Napoli. In qualità di presidente dell’Associazione Ars Fluens si occupa del portare la pratica artistica ai bambini ed ai giovani che vivono in condizioni di disagio. Settimanalmente accoglie, con il suo gruppo formato da tirocinanti e volontarie, i bambini in carcere per favorire attraverso laboratori creativi l’emergere di emozioni, paure e sentimenti, altrimenti difficili da verbalizzare. Momenti di scambio, crescita e confronto utili ad una più serena gestione dell’esperienza carceraria del genitore detenuto in modo da rinsaldare la genitorialità e creare un circolo virtuoso che dona benessere a lui e al figlio.
L’arte può essere considerata , per la sua valenza liberatoria e provocatoria, uno strumento prezioso per bambini e adolescenti legati ancora a modelli e stili di vita errati.
Intanto i parenti sono entrati, i bambini fanno domande sui rispettivi papà e sulla loro presenza in squadra ma ecco che fanno il loro ingresso le due squadre e i piccoli corrono ad abbracciare i papà “liberi” in campo come per una qualsiasi partita. L’emozione è tangibile e ci coinvolge tutti. Finalmente inizia la partita.
Bravi e veloci i giocatori di entrambe le squadre segnano tanti goal, la vittoria è, come ha da essere, della squadra dei papà che vestono la maglia con la scritta Bambinisenzasbarre. A fine partita i piccoli raggiungono in campo i genitori e insieme provano dei tiri in porta finché non vengono chiamati per il buffet offerto dall’Associazione. Si formano gruppetti familiari, si mangia insieme sul prato, si chiacchiera, come ad un qualsiasi pic nic, ma fuori stagione.
La separazione non sarà indolore, lunghi i saluti e gli abbracci e baci inviati fin quando si possono incrociare gli sguardi. Sul viale del ritorno, verso l’uscita, la tristezza vien fuori attraverso capricci e pianti, ma il rapporto continuerà, così come i laboratori organizzati dagli educatori interni ed esterni. Senza queste iniziative l’aria sarebbe più tesa, i rapporti più difficili e più frequenti le recidive dei detenuti.
Questo è quanto emerge dal nostro colloquio con gli educatori . Il lavoro, le relazioni coi familiari, aiutano a mantenere un clima migliore a conoscere punti di vista e stili di vita mai incrociati e tutti, all’interno del carcere, se ne avvantaggiano, detenuti e guardie compresi.